“Sollièvo”
Il sostantivo sollievo deriva dal verbo “sollevare” che, a sua volta, deriva dal latino “sublevare”, formato da da “sub” (=sotto) e “levare” (=alzare o alleviare). Letteralmente il sollievo è quella sensazione di leggerezza che si diffonde nel corpo, dopo la “liberazione” da un peso.
Proviamo “sollièvo” in tante situazioni della nostra vita: il sollievo dell’ombra, quando fuori c’è un sole cocente, il sollievo alla fine di un’interrogazione, in cui eri sicuro che saresti andato male, e invece sapevi rispondere, il sollievo di sapere che una persona a cui volevi bene, e che era in difficoltà, ora sta bene.
E’ particolare il fatto che la sensazione di leggerezza debba essere strettamente legata a una antecedente di pesantezza (o difficoltà). La conferma dell’eterno legame fra dolore-piacere, piacere-dolore.
Riporto di seguito una domanda, tratta dal secondo capitolo de “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera: “Ma davvero la pesantezza è terribile, e la leggerezza è meravigliosa?”.
Nel paragrafo che segue questa domanda Kundera ci propone una nuova “interpretazione” di queste due sensazioni: la pesantezza ha il valore di riportarci ai sentimenti più primitivi e terreni, come quando nella poesia medievale le dame desideravano la pesantezza della passione (“Tanto più pesante è il fardello, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica”), mentre l’assenza di peso, la leggerezza, ci allontana dalla terra e ci rende al tempo stesso liberi e privi di significato.
La leggerezza ha bisogno della pesantezza, e viceversa, perché senza l’un l’altra esse diventerebbero le chimere dell’esistenza umana: la pesantezza, il rullo compressore dei sogni, la leggerezza l’oblio.
Il sollievo è quindi la soluzione, in medias res, che ci apre alla “liberazione” dalla pesantezza, mantenendoci nella realtà, senza sopprimerci, ma rendendoci liberi e non insignificanti.