martedì 18 gennaio 2022

LA SERIE RIVELAZIONE DELL'ANNO

Riverdale 

di Carlotta Pellegrino

La nostra è la storia di una città, una piccola città, e delle persone che in quella città ci vivono. Vista da lontano si presenta come tante altre identiche cittadine sparse nel mondo, sicura, ordinata, innocente, ma appena ti avvicini, cominci a intravedere delle ombre sotto la superficie. Il nome della nostra cittadina è Riverdale!”  

Jughead Jones, narratore e protagonista della storia, inizia il racconto con queste parole. Narra la storia di Riverdale e sceglie come protagonista il suo migliore amico Archie Andrews.




Il primo episodio della prima stagione è stato mandato in onda nel 2017.

La particolarità della serie è l'intricata narrazione, la quale parte da un evento preciso, per poi tenere le redini del discorso dall’inizio alla fine, creando alcune piccole storie che nascono e muoiono nel giro di una puntata: d’altronde la frenesia e la freddezza dell’azione non è inusuale. Ma grazie a questa frenesia Riverdale non rischia di annoiare e di scadere nel banale.
Il messaggio di questa serie è chiaro: non fermarsi mai alle apparenze, perché non si sa mai cosa si può trovare girando l’angolo.

I personaggi


 

>Archie Andrews (Kj Apa) è un ragazzo bello e sportivo, un giocatore di football e un musicista emergente che dovrà abbandonare la sua primitiva carriera per risolvere i delitti e i drammi di Riverdale. 

>Elizabeth “Betty” Cooper (Lili Reinhart) è una studentessa modello della Riverdale High, amica di vecchia data di Archie, Kevin e Jughead, nonché attuale fidanzato, e successivamente di Veronica Lodge.

>Veronica Lodge (Camila Mendes), affascinante, sagace ragazza e studentessa brillante, migliore amica di Betty e Jughead e fidanzata di Archie Andrews. Si è trasferita da New York dopo l’arresto del padre.

>Jughead Jones (Cole Sprouse) è un ragazzo silenzioso e introverso, che appare freddo e distaccato ma in realtà è una persona dall'animo buono, studente molto promettente, bravo nella scrittura, migliore amico di Archie e Veronica e fidanzato di Betty.

>Cheryl Blossom (Madelaine Petsch), gemella di Jason Blossom, è il capo delle cheerleader delle River Vixens, amica di Veronica, Jughead, Archie e cugina di Betty.

>Kevin Keller (Casey Cott), è uno studente al secondo anno, lotta con la sua sessualità, figlio dello sceriffo Keller, migliore amico di Betty.


domenica 16 gennaio 2022

GIÙ LA MASCHERA!

Pirandello e il teatro nel teatro

di Simone Satta


Pirandello è conosciuto soprattutto per le sue novelle e i suoi romanzi, tra cui ricordiamo Ciaula scopre la luna e Il fu Mattia Pascal, che molti di noi hanno letto proprio a scuola. Il grande scrittore siciliano, nato ad Agrigento nel 1867, fu in realtà anche un eccezionale drammaturgo e regista teatrale, un innovatore, che portò in scena l’antirealismo, sfondando la quarta parete ed entrando direttamente a contatto col pubblico.


I suoi testi sono ancora oggi più attuali che mai! Coinvolgenti anche semplicemente se letti, prendono vita sul palco e viene voglia di recitare una parte in prima persona. 

Il teatro pirandelliano, pur essendo tutto interessante, non è però omogeneo, perché lo scrittore ha attraversato diverse fasi, è stato influenzato dalle tendenze del primo Novecento, ma ha saputo personalizzare le diverse tecniche, creando una stile unico, rappresentato poi con la sua compagnia "Il Teatro d’Arte di Roma".

Dopo una prima fase legata molto alla sua terra, la Sicilia, di cui possiamo ricordare Liolà, commedia in dialetto siciliano, il periodo grottesco inizia con l’opera Così è se vi pare, in cui l’autore dimostra che la realtà è per ciascuno di noi quella che si crede sia, che non esiste un giusto o uno sbagliato, un vero o un falso. Le maschere che indossiamo diventano così non semplice ipocrisia, ma l’unica realtà possibile quale alternativa al nulla.

Con la fase successiva, quella del teatro nel teatro, Pirandello mette in scena le sue opere migliori, quelle che catturano il pubblico e influenzano le rappresentazioni contemporanee: Sei personaggi in cerca d’autore inizia a sipario aperto (non urlate “Avete dimenticato di chiudere le quinte!”, mi raccomando): come dice il titolo stesso, si tratta di personaggi che cercano un autore che scriva la loro storia e la faccia rappresentare agli attori della compagnia. Il pubblico assiste alle prove, ai tentativi, ai racconti… 

In questo modo, la realtà e la rappresentazione teatrale si fondono, dimostrando che spesso si recita più nella vita che in scena, si indossano più maschere nella quotidianità che nella finzione letteraria.

Nell’ultima fase, quella del mito, scrive opere come l’Enrico IV in cui un uomo, dopo aver battuto la testa durante una sfilata in maschera in cui rappresentava l’imperatore, si convince di esserlo veramente. La sua follia dura ben 12 anni, ma, quando rinsavisce, decide di continuare a portare la maschera del pazzo: lo psicologo propone di ricostruire la scena dell’incidente, facendo vestire alla figlia dell’ex moglie Matilde i panni della madre. Enrico cerca di abbracciare la ragazza, ma il nuovo marito di Matilde si oppone, per cui l’uomo lo trafigge con la sua spada. Per coprire il proprio gesto, Enrico decide che continuerà a fingersi pazzo per sempre. In questa storia Pirandello riesce a riassumere tutti i temi principali del suo teatro: la maschera, l’inganno, la trappola, la follia come fuga dalla realtà.

E un bel modo per fuggire da una realtà che ci va a volte troppo stretta è proprio assistere a un bello spettacolo teatrale, magari proprio di Pirandello.

Vi lascio qui il link di Così è (se vi pare), sperando di poter tornare presto in teatro, dal vivo, senza restrizioni, come pubblico o - perché no - come attori.


https://www.youtube.com/watch?v=NBHnJbay7fM


DANSER EN VILLE - XIX SECOLO

di Michele Ravera

Siamo a Vienna, è l'inizio del diciannovesimo secolo e mentre le più grandi potenze europee cercano in ogni modo di sommergere gli ideali illuministi e riportare il continente in una situazione di equilibrio, un giovane austriaco sta per rivoluzionare per sempre il mondo della danza come lo conosciamo noi oggi.
Il suo nome é Johann Strauss, un galantuomo proveniente da un'antica famiglia di musicisti che, nonostante il suo indiscutibile legame con la classicità, si mostrerà sempre molto insofferente alle monotone cantilene ballate fino ad allora, come per esempio il Minuetto; deciso quindi a rinnovare la routine delle fastose feste austriache, insieme al suo amico e rivale Joseph Lanner, introdurrá il Valzer prendendo spunto da balli e musiche popolari come la Polka. Crea cosí una melodia divisa in ¾ con un ritmo spigliato, dinamico e molto allegro.
Inizialmente molto criticato per la sua più grande peculiarità, cioè l'avere la coppia unita in un abbraccio, il Valzer si diffonderà a macchia d'olio in tutta Europa, ricevendo particolari apprezzamenti in Francia e soprattutto in Inghilterra. La sua fama lo porterà ad essere anche rivisitato da diversi maestri di grande fama, come per esempio Beethoven, Chopin oppure Čajkovskij.
Mentre in Europa si fa largo la figura di Strauss, conosciuto come il "Re del Valzer", in Sudamerica, per la precisione a Cuba, si fa spazio in punta di piedi un altro iconico ballo, oggi per i professionisti di importanza pari al Valzer, la Rumba.
Nata dalla fusione dei ritmi spagnoli ed africani, era suonata con strumenti di fortuna: maracas create con zucche svuotate riempite di sassi, claves realizzate con due bastoncini di legno e tamburi recuperati da dei cassoni vuoti. Inizialmente era divisa in tre rami molto diversi fra di loro: c'era lo Yambù, un ballo lento nel quale la dama e il cavaliere iniziavano un gioco amoroso, senza però mai arrivare a un vero e proprio contatto fisico; il Guaguancó più concentrato sulla simulazione dell'atto amoroso in cui la ballerina cerca di scappare dal compagno; infine la Columbia, con un ritmo frenetico che viene esclusivamente ballato dall'uomo per mettere in mostra la sua virilità. Dopo l'abolizione della schiavitù e la conseguente emigrazione degli afroamericani nelle città, iniziò ad avere un’effettiva fama, nonostante la borghesia lo bollasse come volgare e lo criticasse con particolare astio e lo confinasse alla periferia.
Oggi entrambi gli stili sono la base per due discipline della danza da sala:
gli Standard di cui fanno parte il Valzer, il capostipite, il Tango, il Quick Step e lo Slow Fox, e i Latino Americani composti da Rumba, Cha Cha Cha, Samba, Jive e Paso Doble.
Il Valzer nel ventunesimo secolo è diviso in due, da una parte quello inglese e dall'altra il viennese; entrambi mantengono la postura tradizionale ed il peculiare movimento ad onda, ma il primo resta molto più lento e dolce.
Anche la Rumba oggi si divide, quella utilizzata di più nelle sale però e quella ispirata allo Yambu.



Pillole di danza


Il Valzer è un ballo costruito per poter riempire le sale da ballo, è costituito da vari giri (ed è proprio dalla parola tedesca "Walzen" cioè girare che prende il nome), si basa poi su una serie di lunghi passi scivolati in diagonale a punte rigorosamente basse a cui vanno dati movimenti ondulatori proprio come se ci si trovasse su una barca; nonostante il ballerino tenga le mani alla compagna non è con queste che la guida, ma principalmente con il bacino.
É poi un ballo allegro nel quale bisogna tenere il cosiddetto "sorriso da valzer" delicato e dolce.
La Rumba invece è molto più sensuale, aiuta molte ballerine a sviluppare la femminilità e la delicatezza ed è caratterizzata da dei movimenti molto marcati e spinti, le anche svolgono quindi un elemento fondamentale. Nonostante il ballo possa sembrare principalmente lento, piccoli movimenti e giri scattati creano un gradevole contrasto che spezza i normali movimenti esitati della coppia.


Rumba https://youtu.be/QVe7PkCH-W8
Valzer Viennese https://youtu.be/3LO3byyeNQo
Valzer Inglese https://youtu.be/wpv9EFsCBNM
Minuetto https://youtu.be/Rhx7jyQP29M

7 CURIOSITÀ SU PAUL STANLEY

di Rebecca Meinero

"You wanted the best, you've got the best! The hottest band in the world… KISS!"

Salve amici del rock ‘n roll! Questa, per chi non sa, è la frase che viene pronunciata prima che Paul Stanley e la sua band salgano sul palco. La prossima settimana, più precisamente il 20 gennaio, il cantante dei KISS compirà 70 anni e oggi vi daremo 7 curiosità su di lui!

1- Il suo trucco ha un nome

Fin dagli inizi i KISS fanno uso di pittura per il viso e ogni personaggio interpretato dai componenti del gruppo ha un nome. Il personaggio del cantante si chiama "Starchild" ovvero figlio delle stelle, perché Stanley si disegna una stella nera sull'occhio sinistro.

2- Paul Stanley è parzialmente sordo da un orecchio

Stanley è nato con una malformazione dell'orecchio chiamata microtia. Nella sua biografia "Face The Music: A Life Exposed" scrive: "Sono nato con una deformità dell'orecchio chiamata microtia, in cui la cartilagine dell'orecchio esterno non si forma correttamente e, con vari gradi di gravità, ti lascia solo una massa di cartilagine accartocciata… ciò mi ha lasciato incapace di dire la direzione del suono e, cosa più importante, mi ha reso incredibilmente difficile capire le persone quando c'era qualsiasi tipo di rumore di sottofondo o conversazione". Grazie però alle tecnologie del XXI secolo è riuscito a farsi ricostruire parzialmente l'orecchio.

3- All'inizio non andava molto d'accordo con Gene Simmons

Se andiamo a chiedere a Starchild se fin dall'inizio adorava The Demon vi dirà: "Certo che no! Non lo sopportavo proprio! Mi annoiavo da morire a volte!". Ma con il tempo hanno fatto amicizia e adesso sono uniti come una famiglia.

4- Paul Stanley vuole essere presente ai casting per il biopic sulla band

Starchild è assolutamente convinto di dover presenziare ai casting per il biopic sulla band intitolato "Shout It Out Loud" in arrivo prossimamente su Netflix. Stanley ha detto che uno dei punti cruciali è l'età dell'attore, e che per un casting accurato dovranno cercare attori che abbiano intorno ai vent'anni.

5- Il cantante sogna di pubblicare un libro di cucina

Paul Stanley, che usa spesso i suoi canali social per pubblicare foto dei suoi meravigliosi piatti, dice che gli piacerebbe pubblicare un libro di cucina, ma sarebbe carente di contenuti.

6- Ha origini ebraiche

In pochi sanno che Paul Stanley ha origini ebraiche

7- Indossa un’unghia finta durante i concerti

Paul Stanley durante i concerti mette un’unghia finta sul dito della mano perché, come ha detto lui in un’intervista, “si farebbe male se non la usasse”.


GIUSEPPE VERDI: IL NABUCCO

Tanti auguri per la tua morte!

di Chiara Messi

Il 27 Gennaio si avvicina e con lui anche il 121esimo anniversario dalla morte di uno dei più grandi compositori italiani nella storia della musica. Conoscete tutti questo personaggio, vero? Per chi non sa chi sia, vi accenno brevemente qualcosa. Verdi è uno dei maggiori operisti dell’Ottocento che rivoluzionò gli elementi romantici presenti nelle sue opere proponendo un aspetto patriottico in molte sue composizioni. Ricordiamo la cosiddetta “triade verdiana”, ovvero il Rigoletto, la Traviata e il Trovatore, l’Aida e il Nabucco. Ma non sono certo qui per annoiarvi raccontandovi la sua biografia; vorrei piuttosto soffermarmi sull’ultima opera citata: il Nabucco, di cui fa parte una delle arie più famose al mondo, il “Va’ Pensiero”.


Ma andiamo con ordine, e partiamo dalla trama. Il titolo si riferisce a Nabucodonosor, re di Babilonia, e racconta della prigionia degli Ebrei dopo essere stati assediati dai Babilonesi. L’opera è divisa in quattro parti.


Nella prima, il popolo ebreo lamenta la sua triste sorte a causa dell’invasione babilonese. Il profeta Zaccaria cerca di confortare la sua gente, presentando un prezioso ostaggio, ossia Fenena la figlia di Nabucco, e la affida ad Ismaele, nipote del re di Gerusalemme. I due giovani, però, sono innamorati e cercano di fuggire insieme aiutati da Abigaille, sorella della ragazza. Quando l’esercito babilonese irrompe nella città, Zaccaria minaccia di uccidere Fenena, ma Ismaele la salva consegnandola al padre, che scatena la sua ira incendiando il tempio.

Nella seconda parte, invece, Abigaille scopre di non essere la vera figlia di Nabucco, ma una schiava, così, accecata dalla rabbia, detronizza Fenena divenuta nel frattempo reggente del padre, il quale viene prima dato per morto in guerra, per poi ritornare e maledire il Dio ebreo; a questo punto un fulmine lo colpisce e lui diventa folle. Abigaille sfrutta la situazione per proclamarsi regina.

Il terzo atto si apre con la ragazza seduta sul trono mentre condanna a morte gli Ebrei, e con loro anche Fenena. Ѐ in questa parte che ci viene presentato il “Va’ Pensiero”, cantato dal popolo ebreo presso il fiume Eufrate mentre rimpiangono la loro patria. La cosa interessante, però, è il parallelismo con il periodo storico di Verdi, perché proprio in quegli anni il nostro Paese era assediato dagli Austriaci e gli Italiani presero quest’aria facendola loro. Divenne un vero e proprio canto patriottico di rivalsa e speranza. Non si è certi se Verdi fosse consapevole dell’impatto che avrebbe avuto, fatto sta che divenne talmente famosa che le persone la intonarono anche al funerale del compositore.

Infine, nell’ultima parte, Nabucco capisce che Fenena è in pericolo, così implora il Dio ebreo di salvarla invocando il suo perdono, che viene accolto. Il re e una parte del suo esercito sconfiggono Abigaille, che si avvelena confessando le sue colpe. Il popolo ebreo viene così liberato e Zaccaria si rivolge a Nabucodonosor profetizzandogli che servendo Dio sarà un re tra i re.



Ecco qui il link per ascoltare l’aria “Va’ Pensiero”

https://www.youtube.com/watch?v=MBYmhYxEvUM






BELLEZZA E SOSTENIBILITÀ

di Aurora Armando


Queste le due parole che spiccano nel padiglione Italia all’Expo 2020 di Dubai.

BELLEZZA perché il claim del nostro padiglione è “Beauty connects People” cioè “la bellezza unisce le persone”, un’estensione delle due tematiche dell’esposizione mondiale “Sostenibilità e Opportunità”

E di una bellezza particolare è la struttura del padiglione, che cattura l’attenzione per la particolarità dell’architettura: si tratta di un edificio con una copertura costituita da tre scafi di navi capovolte (che riproducono i colori della bandiera) con facciate ricoperte di corde nautiche.

SOSTENIBILITÀ, perché i materiali con cui è costruito sono tutti riciclati e riciclabili, oppure di nuova concezione ma sempre ecologici. Ad esempio sia la duna esterna che il pavimento della passerella sospesa interna sono realizzati con un nuovo materiale ecosostenibile composto da sabbia, caffè e polvere ottenuta dalle bucce d’arancia. Non mancano poi le piante, il polmone verde del padiglione: in piccole vasche vengono coltivate alghe come la spirulina in grado di convertire l’anidride carbonica in ossigeno.

Ma passiamo a descrivervi l’edificio... In caso non riusciste ad andare direttamente a Dubai a vederlo!

Il progetto architettonico è di Carlo Ratti, Italo Rota, Matteo Gatto e F&M Ingegneria, con un percorso espositivo curato da Davide Rampello che interpreta perfettamente il tema generale di Expo Dubai “Connettere le menti, generare il futuro”.





Sotto alle tre imbarcazioni che compongono il tetto dell’edificio c’è una facciata dinamica (realizzata in corde nautiche, a loro volta prodotte attraverso il riciclo di circa 2 milioni di bottiglie di plastica aperta agli agenti atmosferici), con un sistema naturale di mitigazione del clima che sostituisce l’aria condizionata.. Nel complesso, il Padiglione si ispira ai temi del design circolare – che ricorre in tutto il progetto grazie all’uso di materiali e componenti riciclati/riciclabili e riusati/riusabili.

La scelta della copertura dell’edificio evoca le storiche connessioni via mare tra la penisola italiana e quella araba. Tre imbarcazioni arrivate a Dubai diventano il tetto del Padiglione e, al termine di Expo, possono essere usate per salpare verso nuove destinazioni. L’intera esperienza del Padiglione è pensata come un percorso, che inizia da una scala mobile che conduce i visitatori a 11 metri dal suolo, direttamente sotto la navata del primo scafo. Da questo punto panoramico è possibile osservare l’intero Padiglione e intravedere il contesto circostante, per poi iniziare a camminare su una passerella sospesa al di sopra degli ambienti espositivi e delle installazioni. Tra gli spazi principali c’è appunto il Belvedere: una costruzione circolare sormontata da una cupola ricoperta da piante selvatiche della macchia mediterranea: un richiamo ai giardini rinascimentali e al paesaggio italiano.

Sono ormai oltre 200mila i visitatori in presenza al Padiglione Italia; a loro poi si aggiungono quelli virtuali, ovvero 3,4 milioni di utenti raggiunti tramite il portale web, i canali social (Facebook, Linkedin, Instagram, Twitter, TikTok, YouTube) e la app del Padiglione. Non vi resta che visitare il portale web e seguire le varie iniziative che si susseguono nelle 26 settimane di apertura dell’Expo Dubai dal 29 settembre 2021 al 31 marzo 2022.

P.S.: vogliamo parlare poi della riproduzione del David di Michelangelo, eseguita con una particolare tecnica 3D, ingabbiata in una struttura che incornicia il volto per vederlo bene nei dettagli ma impedisce la visibilità a 360 gradi del corpo, specie delle parti basse?

Beh, la più rappresentativa opera italiana anche se solo in riproduzione è in versione censurata proprio per non turbare la sensibilità del paese ospitante e la cultura araba.

Pace, consoliamoci con il Teatro della Memoria, cioè una serie di mosaici dorati che riproducono la decorazione della Cappella Palatina di Palermo.



CORNER LETTERARIO

 

TETTAGNA
di Patrizia de Luca


a cura di Emma Siciliano

Le donne di Tettagna conservano da innumerevoli generazioni un misterioso dono. Nel loro cuore viene custodito il potere decisionale di vita o di morte degli uomini a cui mostrano il loro seno nudo. Se essi “cadono” dal cuore di una donna di Tettagna il loro destino è la morte “pazza”. A Tettiano, paesino ai piedi della collina di Tettagna, nascono solo femmine. Ogni donna può avere solo una figlia. Da quando hanno le prime mestruazioni, il loro seno diventa un’arma letale. Quindi sin dalla giovane età le ragazze devono fare particolare attenzione, perché le insidie e i pericoli del loro potenziale non solo si ritorcono contro gli uomini, ma anche verso di loro…

Tra queste la protagonista del romanzo, Assunta, che ci porta con lei per ripercorrere tutta la sua vita. Il suo primo ricordo risale a quando era molto piccola: camminava su Tettagna con Ziella, la donna con cui aveva vissuto sin da quando sua madre “biologica” era morta in un incidente con suo padre. Dal primo momento capiamo che Assunta si sente intrappolata dalle regole che Ziella le impone. Per tutta la sua vita aveva sempre cercato di proteggere la “figlioletta”, ma Assunta, ribellandosi di continuo, capirà solo alla fine quanto la tutrice le volesse bene, quanto si era sbagliata a non seguire i suoi consigli. Incontriamo anche Filomena, migliore amica di Assunta sin dall’infanzia. Tra loro c’è un rapporto particolare costituito da affetto e solidarietà, ma anche pieno di gelosie bambinesche.

Le donne hanno nel loro corpo un potere letale. Per la prima volta sono i maschi a rischiare la vita. Nonostante questa ci sembri una società matriarcale, le femmine sono sempre costrette a resistere ai maltrattamenti che troppo spesso vengono loro inflitti dai mariti. Grazie alle erbe che Ziella coglie su Tettagna le donne riescono a prolungare l’innamoramento nei confronti dei loro mariti. Secondo me infatti il potere di Tettagna è più che altro una maledizione, se non vuoi avere la morte di una persona sulla coscienza, devi astenerti dalla passione, non puoi disporre del tuo corpo come desideri. Quindi si è costretti a incassare e soffrire gelosia, tradimenti e maltrattamenti. Per questo credo che la dinamica sia estremamente interessante: i ruoli quasi si ribaltano, ma le donne decidono di non abusare del loro potere, come credo giusto; sono costrette a dolorosi sacrifici. In effetti però l’ultima parola è sempre la loro.

Tra momenti di spensieratezza e momenti dolorosi, ci tuffiamo in una società nuova e mai vista. Il linguaggio dialettale e la narrazione interna in prima persona, permettono di vivere le vicende sulla nostra pelle. L’atmosfera generale è quella quasi calda e confortante del ricordo. La natura di questa memoria è però schietta, senza troppi fronzoli e saldamente ancorata alla realtà, sempre più complessa di quel che sembra. Un romanzo breve capace di catturare il lettore grazie ad una scrittura è scorrevole e diretta, riesce perfettamente a dipingere nella nostra testa il mondo affascinante e allo stesso tempo semplice di cui Patrizia de Luca ci parla. Tettagna è il suo romanzo d’esordio, ha riscosso un distinto successo tra i lettori, e secondo me è un’ottima storia per cominciare a leggere. E’ sincera e forte, emozionante e potente.

Vi consiglio di leggere Tettagna per i motivi già enunciati e anche per le genuine storie di amicizia e solidarietà femminile, che sono il cuore pulsante del romanzo. Tutte insieme le donne tettianesi nascondono un segreto, lo mantengono vivo insieme alle ancestrali tradizioni che rendono così affascinante la storia di Assunta. Inoltre grazie a Tettagna sono riuscita a uscire da un terribile blocco del lettore, quindi, se vi trovate nella stessa situazione, ve lo raccomando caldamente.

Buona lettura!



LO SCHIAFFO

Vagoni rosa e pacche… sulla spalla

di Anastasia Arese

Facciamo un gioco.

Immaginate di essere in casa, nella vostra cucina.

State tagliando a fette una mela e accidentalmente, per un fantastico colpo di fortuna, vi procurate un taglio bello profondo, da cui inizia a uscire copiosamente del sangue. A questo punto vagate per la casa, e cercate in ogni angolo un cerotto, ma l’unica cosa che riuscite a trovare nel mobiletto del bagno è uno di quegli inutili cerottini rotondi e piccoli, che sicuramente non servirà a molto.

Attraverso questa metafora, se non siete ematofobici, e quindi non siete ancora svenuti, avete appena colto le conclusioni del tema di oggi.

Il 27 novembre 2021, durante una diretta televisiva, la giornalista Greta Beccaglia è stata vittima di una violenza, fisica e psicologica. Un gesto veloce, un passaggio fulmineo, un contesto degradato.

Lo SCHIAFFO. Lo schiaffo che ha scatenato l’indignazione, e l’attenzione mediatica verso la mancanza di rispetto, di decoro, ma soprattutto di educazione, e no, non intendo quell’educazione per cui bisogna bussare prima di entrare in case altrui, ma un’educazione più profonda e che deve essere lo “sfondo inconscio” delle nostre azioni.

Diverse settimane dopo l’accaduto un evento, apparentemente scollegato da quello precedente, ha mosso nuovamente l’opinione pubblica: una petizione, sulla piattaforma change.org, per la creazione dei cosiddetti “vagoni rosa”, ovvero, scompartimenti dei treni destinati a sole donne così che esse non debbano più aver paura di viaggiare da sole e si limitino i rischi di violenza sessuale.

Un’idea magnifica, non vi pare?

Dei favolosi vagoni rosa, magari con le poltrone glitterate, cuscini rosa, smalti e maschere viso in omaggio o qualsiasi altro “oggetto tipico dello stereotipo di genere femminile”.

Adesso non vi sentite più al sicuro, donne?

Di fronte a questo vagone rosa, però, sorgono altri due problemi.

Il primo riguarda il fatto che anche gli uomini possano essere soggetti a violenza sui mezzi di trasporto: a loro un bel vagone blu, scommetto! Magari con un bel televisore per guardare le partite di calcio.

Il secondo problema, e che forse sta alla base di tutto, riguarda le persone non binarie. Quale vagone potranno scegliere per mettersi al riparo?

La problematica della violenza di genere è un tema che interessa l’opinione pubblica ormai da secoli, e il cui dibatto continua tutt’oggi. Si tratta di un argomento molto vasto, e che di anno in anno si amplia e giunge a nuove svolte e a nuovi paradossi.

Il vagone rosa, di fronte a questa grande problematica, non è altro che il cerottino piccolo, messo sulla lacerazione della vostra mano che, certo, magari assorbirà del sangue, ma non farà nient’altro, e la vostra ferita continuerà a zampillare. La stessa mano lacerata è quella che si poggia sul fondoschiena della giornalista con “goliardia”.

Si tratta di una dinamica trita e ritrita che da una parte cerca di risolvere il problema, ma dall’altra si nutre del così detto “victim blaming”, e nasce da una radice comune: la sovranità del concetto di binarismo di genere e dei suoi stereotipi.

I danni sono tanti, sono troppi.

Lo schiaffo e il vagone sono semplicemente dinamiche di potere, una in modo diretto e l’altra in modo indiretto. Il danno e la beffa, la sconfitta.


Ma educare le persone al consenso, al concetto di binarismo e non binarismo, all’equità fra le persone è troppo complesso… meglio un vagone glitterato e una pacca… sulla spalla.



ESSERE PER SIGNIFICARE, ESISTERE PER ESPRIMERE

LA POESIA DELLA MATERIA

di Giada Vigorito



“Amo Burri perché non è solo il pittore maggiore d’oggi ma è anche la principale causa di invidia per me: è d’oggi il primo poeta”.

Sono le parole di Ungaretti a fare da sfondo ad una delle mostre più attese della Fondazione Ferrero dedicata alla memoria di Burri, “La poesia della materia”.

Il percorso inizia con un video introduttivo che apre la strada alla conoscenza di uno degli artisti più rivoluzionari del secolo scorso attraverso uno dei periodi di maggior dolore vissuti da Burri: la prigionia ad Hereford.

L'artista porterà sempre con sé il dolore di questi anni, dolore che cercherà di lenire tramite l’arte; è infatti in questa condizione che afferma sia maturata la sua scelta artistica e la volontà di immergersi al suo interno completamente, per sfuggire dalla realtà della guerra.

Nel 1949, poco dopo il ritorno in Italia, deciderà di dare inizio alla collezione delle sue opere, partendo dall’assemblage SZ1 con l’utilizzo di una carta porta zucchero risalente al dopoguerra, nelle quali sceglierà di utilizzare la materia nella sua forma più pura, senza mimetizzazione.




Per Burri però, fin da subito, la parte importante dell’opera sarà riuscire a trovare l’equilibrio perfetto tra i differenti elementi materici.

Dopo il suo primo lavoro, Texas, a cui ha dato vita durante la prigionia, seguiranno vari periodi di sperimentazioni di materie differenti e l'artista dichiarerà di riconoscersi maggiormente nei materiali con cui costruisce i suoi oggetti di uso quotidiano, preferendoli ai colori e ai tradizionali strumenti, per raccontare le strane e meschine avventure di un tempo che non vuole più esprimersi tramite figure e personaggi.

Al termine del filmato si può raggiungere il percorso, strutturato per periodi legati a singoli elementi ricorrenti. A tutti i dipinti fa da sfondo un ambiente completamente bianco che aiuta a completare l’immersione in quello che è il racconto della vita di Burri.

Il fascino nell’arte di Alberto Burri, a mio parere, sta nello studio della differenziazione di tonalità del colore posto su differenti materiali; ho raggiunto infatti caduta tale consapevolezza nel momento in cui ho raggiunto l’ultima sala, che racconta l'età matura, caratterizzata dai neri. Neri come i muri di quest’ultimo ambiente che ci trascina in una nuova dimensione, ponendoci al centro di quelle che saranno le ultime opere dell’artista.



In questo viaggio passiamo da Texas, l’unico paesaggio della mostra, agli immensi cretti bianchi, passando per le composizioni a sacchi, i cellotex e le plastiche. E’ in tutto e per tutto un viaggio che siete ancora in tempo a intraprendere dato che la mostra gratuita è aperta al pubblico fino al 30 gennaio 2022, dalle ore 11.30 alle 18.00 nei giorni feriali e dalle 10.00 alle 19.00 il sabato, la domenica e nei giorni festivi. 

Mi preme precisare che per via del difficile periodo è necessario che all’entrata si mostri la documentazione che dimostri la valenza del green pass rafforzato.
Speriamo in un ritorno alla normalità, e ringraziamo chi di dovere per aver permesso tutto questo regalandoci un po’ di magia e la possibilità di entrare in quello che era il mondo del grande Alberto Burri. 





La moda e l’emancipazione femminile

Tra seguaci e protesta

di Giovanni Satta



Sapete che legame c’è tra moda ed emancipazione femminile? No?

Tranquilli, ve lo dico io: un legame molto stretto, molto più di quello che pensiate, miei cari lettori.

Quello che indossiamo rappresenta noi stessi; l’abito può diventare un simbolo di protesta, la storia della nostra società, quella che viviamo tutt’oggi.

É un modo per differenziarci, per veicolare nuove idee.

E ciò accade fin dall’antichità: pensate al dipinto “La Libertà che guida Il popolo” di Delacroix oppure alle Suffragette che manifestavano per il diritto di voto, il loro vestiario è diventato iconico, una “divisa” per protestare, per farsi sentire ed essere immediatamente riconoscibili.






Da allora gli abiti e gli accessori come corsetti, pizzi o tessuti stretti per il corpo femminile sono diventati elementi di un “guardaroba” che ha reso sempre più la donna un oggetto e un soprammobile.

Solo alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento le donne hanno deciso di farsi sentire e di farsi conoscere facendo capire che anche loro avevano un posto nella società. Indovinate da dove sono partite…

Ebbene sì! Proprio dai vestiti. Le donne avevano bisogno di essere libere, di lavorare, di fare sport e piano piano tutti quei ghirigori, quelle decorazioni se ne andarono e le gonne diventarono più corte, i busti si slacciarono, le scarpe si alzarono e apparvero i primi pantaloni.

Poi fu la volta dei capelli più corti e ribelli e si mise uno stop alle acconciature complicate e scomode. Le donne più coraggiose iniziavano a tagliarli sapendo che sarebbero state etichettate dalle altre persone per quello in cui credevano.

Molte donne fecero la storia, ma oggi voglio raccontarvi di una sola: Coco Chanel, stilista che rivoluzionò il concetto di femminilità, stile ed eleganza.

La guerra era ormai iniziata ma le donne ne combattevano due, quella mondiale e quella fatta di privazioni e di lavoro.

Chanel iniziò a creare abiti speciali, immaginati per la donna che ha una vita impegnata e soprattutto attiva.

Fu proprio lei ad accorciare le gonne sopra il ginocchio e a creare i pantaloni femminili; usava colori poco appariscenti, linee pulite e ispirate alla moda maschile come il suo marchio fa ancora oggi.






















MITOLOGICAMENTE PARLANDO: L’INIZIO DI TUTTO

di Marta Salomone


La rubrica nasce con lo scopo di parlare di mitologia e regalarvi ispirazione o anche solo un po’ di relax leggendo di eroi e storie fantastiche tratte da diverse culture.
Dato che si tratta del primo numero direi di iniziare dal principio anche per quanto riguarda la mitologia, quindi prestate attenzione e fatevi trascinare in queste storie fantastiche raccontate dai nostri antenati.

Il mito della creazione: mitologia norrena e mitologia greca, cos’hanno in comune?

A differenza di quanto si può credere, i nordici, apparentemente molto diversi dai Greci per usi e costumi, non lo erano così tanto per credenze e divinità.
Ma partiamo dall’inizio.
Entrambi i popoli ritenevano che tutto iniziasse da un grande “vuoto”.
Per il mito greco era il Chaos, dal quale poi nacquero le prime entità: Erebo e Nyx (oscurità e notte), Tartaro (oltretomba) e Gea (la terra).
Quest’ultima governò sul creato insieme a suo marito Urano (il cielo).
Essi generarono i mostruosi Titani, che Urano fece rinchiudere nelle viscere della Terra. Il più giovane, Crono, spodestò il padre e liberò i fratelli, dando il via al suo regno.
Crono sposó sua sorella Rea (sembra strano, lo so), dalla quale ebbe molti figli, che mangió per paura di essere spodestato.
Zeus, l’ultimo nato, con l’aiuto di sua madre, sconfisse il genitore, liberando i fratelli e vincendo contro i Titani.
Il padre degli dei s’impose sull’Olimpo come Custode dell’Ordine.
Nel mito norreno le cose sono un po’ diverse.
Prima di tutto dal grande “vuoto” (Ginnungagap) si originarono due mondi distinti: il regno del freddo (Niffleheimr) e quello del caldo (Muspellheimr), dai quali nacque Ymir, un crudele gigante.
Fu nutrito dalla vacca Audumla, che non sappiamo da dove salti fuori.
In ogni caso, il sudore di Ymir creò la dinastia dei giganti, mentre la saliva della mucca generó Buri, da lui Borr, padre del famoso Odino e dei suoi fratelli.
Arriviamo finalmente alla nascita della Terra.
Questa nacque dal corpo di Ymir fatto a pezzi dai figli di Borr, che generarono il mare, il cielo e le nuvole con le ossa, cranio e sangue del gigante.
A questo punto entrano in scena due fazioni: gli Aesir, discenti di Odino, e i Vanir, dei della fertilità. Subito in conflitto per imporsi sul cosmo, le due parti risolsero le ostilità con una tregua.
Secondo gli studiosi, questi due popoli sarebbero civiltà esistite realmente. La prima, guerriera e violenta, mentre l’altra legata alla natura.
Insomma, se la genesi dei due miti vi sembra simile, non si può certo dire la stessa cosa per l’idea di “fine del mondo”.
Per i nordici tutto finirà con il Ragnarok, una battaglia tra bene e male della quale non conosciamo l’esito. Forse ripiomberà tutto nel Caos, o forse no.
Insomma, non possiamo saperlo.
I Greci non avevano un’idea precisa della fine, o non se ne interessavano.
Era credenza comune che Zeus sarebbe stato spodestato, come suo padre, ma anche su questo continueremo ad avere dubbi.
Odino era il dio supremo. Padre degli Aesir, dio della guerra e della vittoria, della poesia e dei viandanti. Possedeva una lancia infallibile dalla quale nessuno poteva salvarsi. Perderà la vita durante il Ragnarok, inghiottito dal lupo Fenrir.
Ebbene sì, gli dei norreni non erano immortali.
Simile a Zeus per i Greci.
Entrambi uccisero chi li generò ed entrambi ebbero numerose scappatelle amorose.
Thor, figlio di Odino, era il dio del tuono e della tempesta. È presente in tantissimi racconti nordici per le sue gesta. La sua forza era aumentata da tre oggetti: una cintura, che raddoppiava la potenza di chi la indossava, dei guanti di ferro ed il suo martello leggendario con la funzione simile ad un boomerang.
Corrispettivo per i Greci potrebbe essere Ares, ma il dio nordico risulta molto più umano e vicino ai mortali.
Loki, signore dell’astuzia e degli inganni, ma anche della distruzione. È una figura ambigua: in alcune circostanze amico di Odino, in altre attentatore dell’ordine cosmico.
Il suo nome deriva da “fiamma”, la stessa che donò agli uomini. Alcuni credevano che la sua figura abitasse nel focolare domestico: benefico per la casa, ma anche molto pericoloso.
È difficile trovare una divinità simile greca. Ci sono molte affinità con Prometeo, benefattore dell’umanità a discapito degli dei, che fu un eroe molto più acclamato.
Freja era la dea dell’amore sessuale, della bellezza e della seduzione, ma anche della morte e delle virtù profetiche. Dapprima divinità dei Vanir (figlia del dio del mare), fu data come ostaggio agli Aesir, per sancire la pace.
Il suo giorno sacro era il venerdì, non a caso in inglese si dice Friday.
Verrebbe naturale paragonarla ad Afrodite, entrambe bellissime ed entrambe nate dal mare, ma la dea nordica ricopriva sicuramente più ruoli.
Insomma, la mitologia norrena è affascinante ed a tratti molto simile a quella greca. Ricca di leggende e misteri, ci aiuta a conoscere meglio la storia e le usanze delle antiche civiltà nordiche.



Muspellheimr



Niffleheimr



Urano



Gea











IL NATALE È UN BUSINESS? DIPENDE DAL PUNTO DI VISTA

di Elettra Dutto


Una volta a Natale i miei nonni ricevevano solo un mandarino e una statuetta del presepe e per loro era festa; da qualche decennio a questa parte si fanno regali molto più numerosi e dispendiosi e per le Multinazionali è l’occasione perfetta per fare ancora più soldi di quanti non ne abbiano già, mentre per le persone con un negozio autonomo è un’opportunità per guadagnare riuscendo a mettere qualche soldo da parte. Ma entriamo nel dettaglio.
Molti di noi hanno approfittato delle Multinazionali per fare dei regali di Natale, da Amazon a IBS, da Adidas a Shein; da un lato perché è comodo (si cerca il prodotto che si desidera sul sito e il pacco arriva direttamente a casa) e dall’altro perché alcuni prodotti non si riescono a trovare facilmente nei negozi fisici. Queste Multinazionali hanno sicuramente approfittato, come ogni anno, del periodo di Natale, con il “vantaggio” che questi ultimi due sono stati più fruttuosi, perché, con l’avvento della pandemia che ha costretto in casa milioni di persone, gli acquisti online sono diventati la norma.
Prima di passare alla situazione dei piccoli negozi, vorrei parlarvi di una città in cui il Natale è presente tutto l’anno, ma non in senso positivo. Yiwu è una città cinese in cui tutti gli abitanti producono oggetti natalizi 365 giorni all’anno. Probabilmente molte delle nostre decorazioni provengono proprio da lì, dove i lavoratori non godono di giusti diritti e vengono sfruttati, compresi i bambini.
È arrivato il momento di guardare il punto di vista dei piccoli negozi: per loro il periodo di Natale può significare l’80% del loro guadagno annuale, schiacciati dalle sempre più influenti Multinazionali. Se vogliamo assicurarci di fare un regalo che rispetti i diritti dei lavoratori e l’ambiente, rivolgersi ai piccoli negozi specializzati è la cosa migliore da fare. Questo perché, facendo così, tutti ci guadagnano: l’acquirente riceve un lavoro artigianale, realizzato con cura e che durerà degli anni, l’artigiano si guadagna uno stipendio più che meritato e può continuare a tenere aperte le serrande del suo negozio. Ovviamente un cappello confezionato da un artigiano e venduto in un piccolo negozio costa di più, se confrontato a un cappello trovato nei famosi negozi cinesi, ma il lavoro è di qualità, l’artigiano che lo ha prodotto non è stato sfruttato, il materiale ha una provenienza certa e quel cappello avrà una lunga vita. Come diceva la mia bisnonna: “Chi più spende, meno spende”.
Infine, vi riporto i dati che ho trovato in un articolo de “Ilsole24ore”, che si riferisce agli studi effettuati quest’anno da Confcommercio sui consumi del mese di dicembre. Gli Italiani hanno speso in media 158 Euro a testa per i regali, nonostante il prezzo dei consumi (affitto, bollette, servizi) complessivi per famiglia di tutto il Paese ammonti a 1.645 Euro. La quota della tredicesima è poco maggiore degli anni scorsi, nonostante l’aumento delle tasse.
Dunque, a dispetto dell’aumento dei prezzi dei consumi, gli Italiani, anche quest’anno, non hanno rinunciato all’antica tradizione dello scambio dei regali. Spero si ritorni presto a fare regali ecologici ed ecosostenibili per far rinascere la mano d’opera artigiana e fare doni di vero valore.




 


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