lunedì 11 aprile 2022

Sei green?

di Aurora Armando

“Green" è un termine inglese («verde») usato nella sua accezione più ampia per fare riferimento ai temi legati alla salvaguardia dell'ambiente naturale e per attribuire a un'azione, a un'attività o a uno status, una connotazione che richiami i principi della sostenibilità ambientale.”

Questa è la definizione del dizionario di economia e finanza della Treccani della parola green, molto di moda ai giorni nostri.

Ma tante cose possono essere green, cioè verdi, come per esempio le politiche, che mirano a promuovere una società ecologicamente sostenibile. La società del resto dovrebbe essere radicata nell'ambientalismo, nella nonviolenza, nella giustizia sociale e nella democrazia di base.

Spesso sentiamo parlare di materiali, tecnologie ed economie green oppure di aree verdi ricoperte da erba, ma anche di benzina verde e ovviamente di lasciapassare verdi (covid pass).

Questa parola è un guaio. Il suo significato è fin troppo evidente, partecipa a decine di locuzioni per descrivere le situazioni più diverse. L’origine sembra semplice e come sempre in questi casi è piuttosto oscura. Partecipa alla nostra vita anche nelle sue traduzioni, con una invadenza che ce la fa  trovare davanti ogni momento; quindi mettiamoci comodi e cerchiamo di capire qualcosa di più di questo «verde».

Troppo facile.

Sì, ovvio, verde è un colore, ed è uno dei sette dell’arcobaleno. Da sempre rappresenta la natura e per comprenderlo basta guardarsi intorno: è il colore delle piante, dei prati, delle foglie degli alberi, di tante rocce, delle alghe che spesso regalano i suoi riflessi all’acqua del mare, di moltissimi frutti, soprattutto acerbi, di un’infinità di vegetali che popolano le nostre tavole. Per non parlare degli animali che grazie a questo colore riescono facilmente a mimetizzarsi nella vegetazione.

Troppo difficile. 

In italiano compare subito (Tullio De Mauro nel suo vocabolario lo attesta fin dal 1313), figlio diretto del latino vĭrĭde(m) che deriva dal verbo virere, che significa «essere verde», «essere rigoglioso». Etimo? Assolutamente incerto. Ma per capire forse ci aiuta l’inglese: green.  Ci viene in mente una parentela che non può essere casuale col verbo to grow, che vuol dire appunto crescere. Forse riconducibile a una radice indoeuropea ghvar-, che dalle nostre parti ha perduto la g iniziale. Bella avventura studiare l’origine delle parole!

Una speranza naturale. 

Se il verde è così intimamente legato alla crescita, non possiamo stupirci che nella nostra vita e nel nostro linguaggio lo abbiamo abbinato a tutti gli spazi destinati alla speranza. Perché è proprio questo il colore che fa intravedere un futuro. E’ il verde che dà il via libera, e non solo ai semafori, dove il giallo ci impone l’attenzione e il rosso ci obbliga a fermarci. Tra le tante espressioni riportate da tutti i vocabolari ci sono: «disco verde» che indica inequivocabilmente che si può andare avanti, gli «anni verdi» della gioventù, perfino il «numero verde» è allegro perché la telefonata la paga chi riceve e non noi che stiamo chiamando. Solo quando ti «ritrovi al verde» non ci fa molto piacere… Più giù di così non puoi andare.

L’uso quotidiano. 

In ambito edilizio ormai tutto deve essere green, cioè eco-sostenibile per farci risparmiare e per salvare l’ambiente. E’ comprensibile che qualche anno fa sia nato un bollino verde per certificare che le automobili che lo esponevano rispettavano le norme anti inquinamento.

E l’evitabile abuso. 

Un po’ meno comprensibile l’aver chiamato "carta verde" il documento internazionale di assicurazione di un veicolo, salvo il significato generale di «via libera». Efficace nella comunicazione ma arbitrario nella sostanza è stato invece aver nominato «benzina verde», il carburante per le automobili più diffuso in Italia e in Europa, a partire dal 1985. Quell’aggettivo serviva a differenziarla dalla super perché questa «verde» aveva una percentuale di piombo inferiore. Questo fino al 2001, quando la super col piombo venne sostanzialmente vietata e la «benzina verde» rimase l’unica in commercio. Anche se verde non è mai stata.

Variazioni sul tema. 

Tra usi e abusi il verde ha trovato il modo di insinuarsi in moltissime pieghe del linguaggio, le più diverse tra loro. Tra le evoluzioni più famose c’è un vezzeggiativo, il verdicchio, che dal colore dell’uva ha dato il nome a un vino bianco figlio di un vitigno che viene coltivato in mezza Italia.

Piccola conclusione. 

Non ci resta che celebrare questo colore per la carica di ottimismo e di speranza che porta con sé. E pazienza se scivoliamo spesso nel green, d’altronde ormai lo avete capito: l’utilizzo smodato delle parole inglesi è una moda sposata soprattutto da quelli che non hanno niente da dire. Evidentemente con una parola inglese quel niente sembra loro più sopportabile.


lunedì 4 aprile 2022

Dancer en ville

 di Michèle Ravera


Il periodo del primo dopoguerra vide il susseguirsi degli eventi più disparati, dalla morte del famosissimo divo hollywoodiano Rodolfo Valentino al premio Nobel per la fisica di Einstein, dalla creazione di Topolino al primo film parlato della storia, fino al crollo della borsa di Wall Street. I cosiddetti "ruggenti anni 20" riuscirono a toccare addirittura il mondo della danza, diventando testimoni di due pilastri del ballo: l'ormai estremamente noto Charleston e il Quickstep, altrettanto famoso per i ballerini.

Entrambi nati grazie all'avvento dei ritmi jazz, il primo trova la sua patria nella fiorente America dove diventa il grido di battaglia delle Flapper, donne con trucco pesante e senza tabù.



 Mentre il Charleston, molto sbarazzino e allegro, si vedeva protagonista nei locali, il Quickstep, di natura più elegante e raffinata, veniva esibito nei salotti inglesi. Creato tramite una variazione del Foxtrot, oggi fa parte degli Standard e diventa spesso il punto focale delle gare, essendo una disciplina ottima per farsi notare non solo dal pubblico, ma dai giudici stessi.


Pillole di Danza

Già presente durante il XIX secolo come marcia, il Quickstep viene standardizzato nel 1927. Di struttura simile al Valzer (tanto che la postura è pressoché la medesima ed anche il movimento in diagonale per la pista) viene ballato in 4/4 e con il suo ritmo piuttosto vivace non si può certo definire un ballo lento e romantico. Nato per mettere in mostra i ballerini tramite una serie di energici ma aggraziati passi sincopati e saltelli fatti ad una velocità esorbitante è oggi uno dei pilastri degli Standard ed il secondo ballo più complesso fra questi, battuto solo dallo Slow Fox.


Il Charleston, più semplice ed accessibile a tutti, non fa parte di nessuna categoria in particolare (Standard, Latino Americano, Latino Caraibico). Non necessita né di una postura particolare né di una coppia per essere eseguito e, a differenza del primo, non ha bisogno di uno spazio ampio, infatti si balla pressoché sul posto.

Per saperne di più: 

Quickstep https://youtu.be/r2S1I_ien6A https://youtu.be/jlVMiz9roQg

Charleston https://youtu.be/o_8z2onSYnI https://youtu.be/ZRsan_COiD0









Il RE CHE INGANNÒ LA MORTE E GLI DEI

di Marta Salomone

Buongiorno ragazzi, oggi sono qui per raccontarvi la storia di un uomo, un uomo così eccezionale che non solo ingannò gli dei, ma ingannò la morte stessa. 
Tutto ebbe inizio nell’antica Grecia, nella grande città di Corinto, su cui regnava un grande re di nome Sisifo.
Egli era forse la persona più intelligente del suo tempo, ma non il più saggio.
Sisifo era un diretto discendete di Prometeo, e come il suo antenato decise di intromettersi negli affari degli dei.
Fu testimone del rapimento della giovane Egina da parte di Zeus sotto forma di aquila e capì che poteva approfittarne.
Andò dal padre della giovane rapita, una divintà minore, Asopo, dio del fiume.
Egli era disperato dalla scomparsa della figlia e così Sisifo si fece avanti, promise di raccontare al dio chi era stato a rapire la figlia; in cambio però questo avrebbe dovuto creare un corso d’acqua potabile che percorresse tutto il suo regno in modo da combattere la siccità.


Zeus non fu per nulla entusiasta che un umano si fosse introdotto nei suoi affari e decise di imporgli una lezione, chiamò la morte e la mandò a riscattare l’anima di Sisifo. Il sovrano di Corintò si stupì della presenza della morte nel suo castello, ma un’idea balenò nella sua mente maliziosa.  Andò incontro alla morte e iniziò a ubriacarla di complimenti fino a convincerla ad indossare gioielli, bracciali e collane, che però si rivelarono essere delle catene. Sisifo riuscì così ad imprigionare la morte.


Il tempo passava e nessuno moriva più, l’Ade non riceveva più anime e anche il dio della guerra Ares era profondamente adirato poiché nessuno più moriva nelle guerre da lui scatenate. Così più furioso che mai Ares si recò a Corinto, liberò la morte dalle sue catene e questa seppe subito chi sarebbe stata la sua prima vittima e si recò nuovamente dal sovrano corinzio.


Sisifo però era astuto e aveva già organizzato un nuovo piano.

Disse alla moglie che in caso fosse morto ella non avrebbe dovuto organizzare nessun tipo di funerale. Una volta che la moglie acconsentì, Sisifo si consegnò pacificamente alla morte che lo portò immediatamente nel regno dell’Ade.


Sisifo fronteggiò Ade, il dio dei morti, che era a dir poco furioso per i danni che Sisifo aveva procurato al suo regno. Il re corinzio furbo com’era convinse il dio dei morti a lasciarlo libero ancora per un giorno in modo che potesse organizzare il funerale regale che quell’ingrata di sua moglie non gli aveva dato. Ade accettò e Sisifo tornò da sua moglie con la quale poi scappò per tutta la Grecia.




Dopo aver vissuto una lunga e gioiosa vita, Sisifo incontrò nuovamente la morte e questa volta si fece condurre nell’Ade consapevole che la sua ora era ormai giunta.




Per tutti i suoi crimini il re corinzio fu costretto ad una terribile punizione, doveva trasportare un enorme masso su per una montagna, ed ogni volta che egli si avvicinava alla cima la pietra diventava sempre più pesante e rotolava indietro fino al punto di partenza e così per l’eternità.