domenica 21 maggio 2023

Un protocollo che cambia la vita

E così ci siamo, finalmente.

Ho ottenuto la carriera Alias nel mio istituto! Ironico, visto che ormai mancano pochi mesi alla fine del mio percorso liceale..., ma non importa, pensiamo positivo, ora è reale!

Anche se sin da subito la mia richiesta di venir chiamata col nome Nabou è stata accolta da tutti con grande rispetto, dal momento in cui ho iniziato a leggere il mio nome sui registri e sull’agenda online mi è sembrato di non essere più “invisibile” agli occhi dell’istituzione in cui vivo da ormai 5 anni.



Forse però sto correndo un po' troppo, quindi facciamo un passo indietro. 

Cos’è la carriera Aliase perché è così importante?

Dal vocabolario Treccani: "Per carriera Alias si intende la procedura amministrativa che, sulla base di un accordo di riservatezza tra scuola o ateneo, studente e famiglia, prevede la possibilità di modificare in registri e atti interni il nome anagrafico dello studente nel caso questo sia una persona transessuale o abbia intrapreso un percorso di transizione".

Quindi si tratta di questo, un protocollo che permette a chiunque non si identifichi nel genere biologicamente assegnato alla nascita di sentirsi almeno a scuola un pochino più sé stess*, ed è proprio per questo che la carriera Alias è di vitale importanza: in un ambiente formativo come la scuola dare la possibilità a dei giovani che già stanno attraversando un percorso in salita verso la scoperta di sé stess*, di vedere su documenti non ufficiali, ma pur sempre documenti, il nome da loro scelto ha un impatto enorme e fortemente significativo. Per comprendere questo però bisogna prima conoscere la natura del disagio che deriva dall’esser chiamat* con il proprio dead name, in presenza di altre persone o meno. Per una persona in conflitto come un giovane nel mezzo di un percorso di transizione, l’utilizzo del dead name può essere terribilmente doloroso, a causa del ricordo e attaccamento del nome a quello che è il genere biologico o il “fantasma di genere” da cui si cerca di scappare. Credetemi quando vi dico che essere qualcosa o qualcuno e non essere riconosciuti è veramente logorante. Provate a immaginarvi coi cappelli biondi, o gli occhi castani, e che chiunque sia intorno a voi e si rivolga alla vostra persona vi veda diversamente e lo imponga e condivida con altre persone, anche se voi sapete di avere i capelli biondi o gli occhi castani e da anni cercate di fare in modo che anche gli altri lo vedano e riconoscano. Come vi sentireste? Beh, ve lo dico io, uno schifo… 

Per fortuna dal 2020 questo problema in tanti istituti e atenei italiani viene finalmente combattuto e sono/siamo grat* per questo. Ora la mia storia, anche se importante come ognuna delle altre, mette meno in risalto le problematiche che nascono dal famoso e temuto dead name, vista la magnifica collaborazione del personale scolastico, compagni e professori che ho avuto l’onore di conoscere durante questi 5 anni, ma sono sicura che da qualche parte un* piccol* Nabou sta vivendo un inferno tra terapia, percorso di transizione in generale e vita personale, e che questo semplice protocollo gli stia rendendo la vita un pochino più leggera, almeno a scuola. Venire riconosciuti e accettati è importante per lo sviluppo e il benessere di tutti e sono felice che ora più persone - almeno nella mia scuola - possano vivere nella serenità di essere parte integrante del mondo in cui viviamo. 

Spero quindi di aver contribuito almeno un po' a questo piccolo grande passo nel mio istituto anche se a dirla tutta poco importa: mi basta vedere tutti felici e un po' più leggeri. I passi da fare verso l’uguaglianza sono ancora tanti, ma di sicuro questo è un ottimo inizio…

Chillè (finalmente) Nabou

sabato 20 maggio 2023

SvelARTI continua!

di Emma Siciliano




Donna, vita, libertà.

La protesta non si spegne.

In questi mesi i ragazzi di 3^A/F e di 3^D hanno lavorato per produrre opere, installazioni e performance per non smettere di far sentire la propria voce, o meglio, la voce di migliaia di persone che non possono parlare.

Noi ragazzi ci siamo informati, abbiamo assistito agli interventi di Gigi Garelli sulla storia iraniana, abbiamo incontrato Afshin Allinvand, che ci ha raccontato la sua storia di rapper iraniano costretto a scappare dal suo Paese. Poi abbiamo visto il film-documentario “Be my voice”, di Nahid Sarvestani, che ci porta nella sua vita di giornalista e attivista per i diritti delle donne.

Grazie a questi approfondimenti siamo riusciti a riflettere a lungo su questa situazione politica, che purtroppo non esiste solo in Iran, ma in moltissimi altri Paesi del mondo.

Le professoresse Cristina Saimandi e Carol Peia ci hanno guidati nella progettazione di un’opera per una mostra che si sarebbe svolta verso aprile. Ogni studente ha tirato fuori un’idea con il rispettivo progetto, che ha poi presentato ai compagni e ai ragazzi del Mets. E' nata così l’idea dell’installazione del “Telo”. Un’idea centrale che si era ripresentata diverse volte nei nostri progetti. Inutile dire che dopo poco tempo la “semplice” mostra era diventata un progetto ben più grande di quanto potevamo immaginarci all’inizio. Quando le nostre insegnanti ci hanno detto che l’evento si sarebbe svoltonella nostra scuola, abbiamo deciso di aggiungere altre performance, opere e installazioni, tra cui quelle delle classi quinte, già utilizzate per il primo evento SvelArti.

Dentro al progetto sono anche arrivati Lucia, Nazareno Fusta e Isabella Sarale, oltre ai ragazzi di quinta con le loro opere realizzate in precedenza e confluite nella mostra a palazzo Santa Croce dal 4 all'8 marzo 2023.

Il nostro progetto si è evoluto sempre di più, abbiamo elaborato e cambiato posizione alle installazioni per mesi. Ogni volta che ci siamo imbattuti in un problema siamo riusciti a superarlo con il dialogo e nuove idee. Organizzare tutto e far funzionare ogni cosa al meglio è stato ed è molto impegnativo. Ma grazie al lavoro svolto a contatto con altre classi, siamo riusciti a conoscere nuove persone, a lavorare in gruppo, a prendere decisioni e a sviluppare le nostre idee. Ringrazio moltissimo le professoresse, che ci hanno messo davanti una grande sfida, un progetto a cui appassionarci e l’arte.



Come avrete letto sulla locandina, la serata sarà dedicata a Elena e Alice, due compagne e amiche, che hanno accompagnato alcuni di noi in questi anni di liceo. Vogliamo che il nostro ricordo di loro, che la loro forza e la loro arte non si spengano mai. Vogliamo che il loro sorriso ci dia ancora gioia, e vogliamo parlarvi un po’ di loro martedì 30, possibilmente senza troppe lacrime.

Se siete curiosi e volete vivere l’esperienza SvelArti, vi invitiamo a venire numerosi in corso Alcide de Gasperi 11, nel nostro bellissimo Liceo Artistico e Musicale. 

Si apriranno le porte alle 20:30 di martedì 30 maggio, fino alle 23:00.

Vi aspettiamo!


UN VIAGGIO PER CAMBIARE

di Giovanna Burdese

L’associazione Deina di Torino organizza tutti gli anni viaggi per ricordare avvenimenti del passato.

Quest’anno ho potuto partecipare al Viaggio della Memoria al campo di concentramento di Auschwitz e al sottocampo di Birkenau.
Ora non vi voglio raccontare né del viaggio né dell’aspetto storico, tenterò solo di trasmettervi alcune emozioni per invogliarvi a fare questo viaggio non appena potrete.

Mi è stato chiesto perché lo volessi fare e con che forza d’animo, ma non si tratta né di voglia né di coraggio.
Penso che comprendere ed immedesimarsi nelle persone del passato sia l’unico modo per comprendere realmente la Storia.
Camminare dove i prigionieri vivevano, osservare quell’immenso cimitero a cielo aperto ti cambia da dentro.
Nel profondo inizi a capire realmente quegli aspetti che, se ti limiti a studiare sui libri, non comprenderai mai realmente.

Vorrei che tutti almeno una volta nella vita andassero a vistare questo immenso campo di sterminio.

Io ho potuto cambiare modo di vedere e apprezzare la mia vita.
Milioni di persone innocenti, compresi i bambini, hanno perso la vita a causa di un incomprensibile razzismo e immenso odio.

Questa esperienza ti spinge al dovere morale di vivere ogni giorno al meglio delle tue possibilità, perché la vita è una sola e per fattori esterni o interni potrebbe cambiare quando meno te lo aspetti.


 Immagine tratta dal Fumetto “Maus”

domenica 14 maggio 2023

Leggere

di Laura Bota e Matilde Martino


Leggere è una tra le prime cose che ci insegnano a fare da piccoli, insieme allo scrivere. 

Leggere vuol dire non solo riuscire a comunicare con gli altri, ma anche aprirsi a un mondo fatto di parole dalle più svariate forme, colori e significati.

Da piccoli eravamo abituati a leggere libri molto semplici, composti da colori e immagini. Crescendo, cambiamo noi e anche i libri che ci vengono proposti: le pagine aumentano e il linguaggio usato diventa talvolta talmente aulico da mettere in dubbio la nostra padronanza della lingua italiana.

La lettura però non è una cosa da temere, anzi. La possibilità di poter leggere la vita di qualsiasi persona, di leggere come sono state erette le più grandi opere architettoniche o come smettere di usare il telefono 8 ore al giorno è una fortuna, un qualcosa di cui ognuno di noi dovrebbe essere grato. Attraverso la lettura si possono vivere centinaia e centinaia di vite e soprattutto si può migliorare la nostra vita: i benefici della lettura vanno dalla riduzione dello stress a un miglioramento delle abilità di scrittura, ma chi legge qualche pagine ogni giorno dimostra anche di avere una soglia di attenzione più alta e una capacità analitica del pensiero più sviluppata.

Ma quindi perché le persone non leggono? O meglio, perché non trovano piacere nel farlo?

Dal questionario proposto a una cerchia di persone intorno ai 16 anni, le risposte date hanno piccole differenze tra di loro. La maggioranza afferma infatti di far fatica a concentrarsi e per questo la lettura diventa più un compito che un piacere, altri ancora dicono di non aver ancora trovato il libro giusto e, ovviamente, ci sono quelli che affermano di essere troppo impegnati per dedicarsi alla lettura.

Le domande sul rapporto scuola-lettura hanno avuto dei riscontri piuttosto negativi: in molti affermano di aver vissuto la lettura come un’imposizione della scuola e ciò li ha solamente portati a disprezzarla, altri ancora non hanno trovato interesse nelle letture proposte o non le hanno proprio affrontate.

Alcuni sono convinti che la lettura prima o poi sarà gradevole ai loro occhi, mentre altri o lo sperano o sono convinti che non prenderanno mai in mano un libro non scolastico.

D’altro canto, coloro che hanno una grande passione per la lettura vedono quest’ultima come un mezzo per distrarsi, per allentare la tensione di tutti i giorni o per una semplice sete di curiosità e bisogno di sapere.

E’ bene ricordare che la lettura è per tutti. Non devono per forza piacere libri di un certo genere solo perché vanno di moda quelli e sicuramente non bisogna vedere la lettura come una gara a chi legge di più.

Bisognerebbe trarne piacere, divertimento.

La lettura è una cosa personale, che si plasma sulla nostra personalità e sui nostri bisogni.


Tutti abbiamo la possibilità di avvicinarci a questo mondo, non importa se quando leggiamo le parole danzano sulla pagina o se l’unica cosa a cui riusciamo a pensare è tutto ciò che dovremmo fare. La lettura è forse la cosa più preziosa che possa esistere e va curata, coltivata e soprattutto amata.

E forse sì, andare in palestra 2 ore al giorno ci sembra più importante di passare 2 ore a leggere. Ma curare il nostro io vuol dire anche coltivare la nostra sete di conoscenza, nata insieme a noi.

Qui di seguito, alcuni titoli per approcciarsi al mondo della lettura:

Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu.




Ci troviamo davanti un libro appartenente alla categorie dei classici gotici. Una storia breve, che supera di poco il centinaio di pagine e narra le vicende di Laura e della sua nuova “amica” Carmilla. Un paesaggio inquietante che mette le basi a una tra le prime opere che narra di vampiri.

Anime scalze di Fabio Geda.


Ci troviamo a Torino insieme ad Ercole, un ragazzino dalla vita sicuramente non facile; abbandonato dalla madre, vive in una casa diroccata con un padre inadeguato e una sorella maggiore che si prende cura di tutto. Il paesaggio piemontese fa da sfondo a quello che è un libro carico di dolorose realtà, ma che può tenere compagnia anche nei momenti peggiori.

Norwegian wood di Murakami.


Una lettura più pesante, non solo per la lunghezza ma anche per le tematiche trattate. Ci troviamo a leggere quella che è la vita del giovane adulto Toru, continuamente assalito dai dubbi ma guidato da un ostinato senso della morale. Un libro che parla di amore, di dolore e di morte.

Le non cose: come abbiamo smesso di vivere il reale di Byung-chul Han.


Inutile dirlo, ogni giorno veniamo investiti da migliaia di informazioni, di dati e delle cosiddette non-cose. Byung-chul Han, critico della contemporaneità, ci offre una riflessione sulla comunicazione, la rete e il futuro che stiamo costruendo.

La strada di Cormac McCarthy.


Un mondo distopico, distrutto dalla mano umana. Un padre e un figlio che lottano per la sopravvivenza e per un futuro migliore. Un inverno rigido che pare non terminare e inquietanti personaggi che mostrano il lato peggiore dell’uomo. Un libro breve carico di suspense, che tratta di tematiche simili alla serie di successo tratta dall'omonimo videogioco ‘The Last of Us’.

sabato 6 maggio 2023

Il rapporto genitori-figli

di Asia Margaria


In un romanzo del 2013, Michele Serra ci definiva "sdraiati": "Forse sono di là, forse sono altrove. In genere dormono quando il resto del mondo è sveglio, e vegliano quando il resto del mondo sta dormendo. Sono gli sdraiati. I figli adolescenti, i figli già ragazzi.". Lo scrittore non risparmia niente ai figli, niente ai padri. Racconta l'estraneità, i conflitti, le occasioni perdute, il montare del senso di colpa, il formicolare di un'ostilità che nessuna saggezza riesce a placare.

Per cercare dunque di capire chi siamo e in quale contesto ci muoviamo, proviamo ad usare le parole di alcuni esperti e addentriamoci in alcuni concetti alla base di un rapporto che interessa tutti noi.

La psicologa, dott.ssa Francesca Chiera, alla domanda: "In psicologia, come viene definito il concetto di famiglia?" risponde: "In psicologia, con il termine famiglia si intende il primo ambiente in cui il singolo individuo è inserito".

Pertanto, per discutere del rapporto genitori-figli, è necessario prima di tutto capire che cosa è veramente la famiglia e soprattutto se l'individuo pensa sia un punto di riferimento oppure no, se essa sia importante oppure no. È il primo mondo che il figlio esplora.

La dottoressa continua: "La famiglia costituisce ancora la cellula base, il nucleo vitale della società".

Quindi il concetto di famiglia come "nucleo vitale della società" dovrebbe essere un po' quello che le persone definiscono "normalità".

Ma molti non guardano al concetto "famiglia" in questo modo, forse perché non vedono quel filo che dovrebbe unire genitori e figli, forse perché non sentono la complicità che dovrebbe nascere, non hanno o non hanno avuto mai quel sostegno che la famiglia dovrebbe dare.

"Come definisce la psicologia il rapporto tra genitori e figli?"

La Dott.ssa Chiera spiega: "Il rapporto tra genitori e figli è un tassello fondamentale per la crescita psicologica dell'individuo".

Esattamente!

Un rapporto debole potrebbe compromettere il carattere e i sentimenti del figlio, ma anche dei genitori. È fondamentale che ci sia un forte legame tra genitore e figlio per il bene di entrambi.

La dott.ssa Chiera continua facendo riferimento alla teoria "dell'attaccamento" di John Bowlby: "è una delle mie teorie preferite in quanto ha descritto in modo semplice la relazione: la capacità di trasferire sicurezza nel bambino, costruire un attaccamento sicuro, sarà la base per il futuro adulto di fidarsi del mondo".

John Bowlby - https://www.stateofmind.it/bibliography/bowlby-john/ - è stato uno psicologo, medico e psicoanalista (colui che guida il paziente nell'esplorazione del suo inconscio e lo aiuta a conoscersi meglio) britannico che, come già detto dalla dott.ssa Chiera, ha creato la teoria dell'attaccamento.

La teoria spiega che il bambino, quando è vicino a chi ama, si trova in una situazione di tranquillità, protezione, quindi sicurezza, quando se ne allontana alimenta stati ansiosi o può anche diventare triste e angosciato.

John Bowlby spiega che la mancanza di una figura materna o comunque affettiva incide profondamente sulla crescita del bambino non solo dal punto di vista emotivo e sociale, ma anche fisico e intellettuale.

Secondo lo psicologo Bowlby il legame di attaccamento si crea attraverso delle fasi (quattro):

  1. Pre-attaccamento. Si verifica dalla nascita alle prime 8-12 settimane di vita; il bambino non è in grado di capire chi ha attorno;
  2. Attaccamento in formazione. Si verifica tra i 3 e i 6 mesi, quando il bambino inizia a riconoscere chi ha attorno e a capire come comportarsi con le persone; già in questo periodo, se lasciato da solo, si agita;
  3. Attaccamento vero e proprio. Si verifica tra i 6 e gli 8 mesi, quando il legame tra genitore e figlio diventa stabile; può iniziare a presentarsi la cosiddetta "protesta da separazione", quando viene lasciato da solo;
  4. Relazione reciproca. Si verifica dai 2 anni in su, quando il bambino capisce che se il genitore va via, poi ritornerà.

Ritornando alla Dott.ssa Chiera, sentiamo la sua risposta a una domanda assai curiosa:

- "Perché molti genitori affermano che è difficile essere genitori?"

- "La genitorialità è un processo arduo e difficile, non esiste manuale, tutta l'esperienza viene fatta sul campo."

Non essendo genitore non posso capire a pieno quello che provano i genitori, ma so che è molto difficile e che, come dice la Dott.ssa, non ci sono regole precise che devi seguire, come potrebbe essere in una ricetta culinaria.

Aggiunge: "È fondamentale, per noi genitori, imparare ad osservare i nostri figli, ad ascoltarli, dare loro tempo e attenzione".

Ma ciò vale anche per i figli; anche loro devono essere capaci di ascoltare i propri genitori, perché anche loro, come tutti gli esseri umani, hanno le loro preoccupazioni.

Infine la Dott.ssa evidenzia il fatto che non è un problema chiedere aiuto nel caso non ci fosse un legame forte tra genitori e figli: "Laddove il dialogo fosse difficile e dovesse presentarsi un malessere, è opportuno chiedere aiuto e trovare nuovi strumenti per fronteggiare il disagio".

Solo così, che sia da una posizione orizzontale o verticale, entrambi, genitori e figli, potranno spingere lo sguardo oltre le proprie spalle e cercare di vedere il mondo dell'altro, senza pregiudizi e con il cuore aperto.


"Il bambino si costruisce un modello interno di se stesso in base a come ci si è preso cura di lui"

John Bowlby