lunedì 16 gennaio 2023

LA MIA SCUOLA E' DIFFERENTE

di Sara Chessa


Il primo giorno sembra sempre il più traumatico, ma al Bianchi Virginio non è così... i professori sono accoglienti e molto comprensivi e cercano di farci socializzare nel miglior modo per aiutarci a diventare col tempo una classe solida e affiatata.


Il preside è molto disponibile. La mentalità è aperta.

Devo ammetterlo! A pochi mesi dall'inizio dell'anno posso già dire che questa scuola è speciale, mi ha aiutata nella socializzazione e ad affrontare la mia timidezza.

Il posto è gradevole e grande, ma non è difficile orientarsi.

Nell'intervallo c'è libertà di movimento e possiamo socializzare con le altre classi o uscire nel cortile.

Non è però tutto rose e fiori, c'è bisogno di molto impegno e molto studio, ma se si seguono bene le lezioni non si fa tanta fatica: i professori cercano di far pesare il meno possibile le lezioni inventandosi dei giochi educativi sull'argomento o facendo esempi o mostrando video/film.

Non pensate che sia solo studio, studio e studio… ovviamente ci sono i vari laboratori che sono molto interessanti e belli da praticare, alcuni più difficili perché c’è bisogno di  più attenzione e concentramento. 

E se i professori sono severi è perché esigono, come è giusto, partecipazione e impegno. Se si sceglie questa scuola non bisogna prenderla alla leggera perché, come dice il nome, è un liceo.

Molta gente pensa che chi va al liceo artistico sia particolare, ma in realtà noi siamo liberi e siamo una comunità come le altre ma con un'espressività più spiccata grazie alla nostra creatività.

I professori sono aperti e nel caso di problemi emotivi ne possiamo parlare liberamente con loro.

Io non ho mai visto una scuola così e spero che la prima impressione sia confermata negli anni futuri!

domenica 15 gennaio 2023

LA COMUNICAZIONE PARLA AI SENSI

 

di Aurora Borgogno

La parola comunicazione deriva dal latino communico, composto da cum e munire ovvero “con” e “legare”, quindi mettere in comune e rendere partecipe. Per essa si intende il processo e le modalità di trasmissione di un’informazione da un sistema (animale, uomo, macchina ecc.) a un altro della stessa o diversa natura.

Ci sono tre tipi di comunicazione che si manifestano nel momento in cui l’emittente, ovvero chi invia il messaggio, parla con un destinatario, quindi chi riceve l’informazione. Naturalmente si fa ricorso alla comunicazione verbale che avviene attraverso l’uso del linguaggio, sia scritto sia orale, e che dipende da precise regole sintattiche e grammaticali. Essa però rappresenta solo il 7% della trasmissione dell’informazione, infatti per il 38% la comunicazione è para verbale perché riguarda tono, volume e ritmo di chi parla, pause ed altre espressioni sonore come lo schiarirsi la voce. L’atto di comunicare però è svolto per il 52% dalla comunicazione non verbale, la quale invece avviene senza l’uso delle parole, ma attraverso canali differenti, come ad esempio espressioni facciali, sguardi, gesti e posture.

Affinché la divulgazione del messaggio avvenga in maniera efficace è necessario che la fonte e il ricevente abbiano un codice comune, ovvero che entrambi parlino la stessa lingua o che condividano lo stesso sistema di valori. Sin dalla sua formazione l’uomo ha elaborato diversi tipi di linguaggio, a partire da quello artistico, basti pensare alle prime pitture rupestri che venivano realizzate per lasciare una testimonianza del proprio passaggio, per raccontare il proficuo raccolto della giornata o l’efficace battuta di caccia o ancora per propiziarla. La pluralità del linguaggio umano si estende non solo al linguaggio letterario che include componimenti poetici, epistolari, romanzi e trattati, ma anche a quello musicale e persino sportivo, come i gesti che l’allenatore rivolge ai giocatori in campo. Non comunicare non è possibile: è stato dimostrato che anche se una persona seduta su una sedia non conversa con chi ha di fronte, il suo corpo trasmette informazioni che sono captabili da chi la osserva e cerca di interloquire con essa. Ad esempio, se la persona silente è annoiata dal discorso dell’altro individuo, si può notare che il suo sguardo vaga in giro per la stanza alla ricerca di qualcosa di più interessante e non mantiene quindi un contatto visivo con chi le parla. La sua postura è meno tesa e la schiena è appoggiata allo schienale della seduta e tenderà a portare le braccia dietro al capo se è davvero annoiata. Anche lo sbadigliare è un’azione che indica se chi ascolta è interessato o meno, in più la scelta di non porre domande ed intervenire significa che l’individuo sta pensando ad altro. Altri segnali che potrebbero indicare che il soggetto è annoiato dalla conversazione sono i gesti che la fanno apparire irrequieta, come battere le dita o il piede di continuo e non riuscire a tenere le gambe o le braccia ferme. L’espressività del volto e in particolare dello sguardo è un mezzo di comunicazione molto indicativo che Alessandro Manzoni, un celebre scrittore Italiano, amava utilizzare per i suoi componimenti scritti. Esauriente è la descrizione che ha dedicato al viso dell’Innominato, raccontando del lampeggiar sinistro, ma vivace dei suoi occhi, segno della sua forza interiore. Un altro esempio è quello degli occhi del frate cappuccino Cristoforo, che Manzoni paragona a due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, riferendosi alla vivacità e ai movimenti repentini di essi, per indicare la sua indole combattiva.

Comunicare è dunque inevitabile ed essenziale per l’uomo, basti pensare al dialogo su cui si regge la filosofia che tramite il confronto garantisce nuovi punti di vista e un’apertura mentale. Per capire pienamente la sua importanza però, nella storia, è servito fare esperimenti concreti. Come testimonia nella Cronaca lo storico Salimbene, a proposito degli studi realizzati durante il XIII secolo all’epoca di Federico II. L’imperatore Svevo, infatti, decise di capire quale fosse la lingua originale parlata dagli esseri umani, quindi scelse di nutrire regolarmente un gruppo di neonati in assoluto silenzio, eliminando completamente le loro possibilità di interazioni linguistiche con le nutrici. Essi non parlarono mai alcuna lingua, anzi l’assenza di interazioni sociali e verbali portò loro alla morte per la cosiddetta “fame da contatto”. L’atto di comunicare è una cosa che coinvolge tutta l’umanità e include anche le minoranze di soggetti non vedenti o audiolesi. Oggi infatti, esistono dei linguaggi come il Braille o l’alfabeto manuale che permettono di esprimere o comunicare anche con individui che presentino qualche forma di disabilità comunicativa.

Parlando di comunicazione e di come divulgare un messaggio nel più efficace modo possibile, recentemente nel campo dell’economia si sta diffondendo sempre di più il cosiddetto marketing sensoriale, il marketing che coinvolge i sensi del cliente, influenzando la sua percezione su un determinato prodotto e guidandone il comportamento attraverso una vera e propria esperienza sensoriale. Questo metodo permette di creare un legame emozionale tra il consumatore e il prodotto, utile perché durante l’acquisto sono le emozioni che fanno da guida prima ancora della razionalità.

Molto rilevane è l’impatto visivo che ha il prodotto a partire dal packaging, i colori, le luci, le forme e le dimensioni, ma anche a livello espositivo o del sito web e delle campagne pubblicitarie. Altrettanto importante è il suono, molte aziende infatti si fanno riconoscere tramite il sound branding. La musica ha il potere di radicarsi nella memoria, stimolando diverse aree del cervello e generando differenti sensazioni come la tranquillità, la malinconia ecc. che vengono collegate dal cliente al brand. Essa può persino aumentare la permanenza del cliente all’interno di uno store e crea un’atmosfera che risalta il prodotto, ad esempio una musica elegante e raffinata come quella classica può essere adatta ad un negozio di prodotti di lusso così che il cliente si sente immerso in un’esperienza esclusiva. L’olfatto è un altro senso importantissimo che viene spesso coinvolto nei grandi centri commerciali dove viene inserito il banco della panetteria con addetti che sfornano pane, focacce e brioche. A chiunque verrebbe l’acquolina in bocca sentendo queste fragranze! Gli odori infatti vengono impressi nella memoria del cliente che ricorda l’esperienza piacevole ed è invitato all’acquisto. I materiali e le superfici con cui è realizzato il packaging sono estremamente rilevanti per l’acquirente, spesso infatti gli imballaggi dei prodotti vengono realizzati basandosi sulla stagione corrente. Ad esempio in inverno si preferiscono pacchetti in lana o in tessuto morbido come il velluto. Nel settore alimentare si ricorre a sfiziose degustazioni che coinvolgono attivamente il cliente, in un’esperienza soddisfacente che lo porta ad acquistare ciò che ha provato.


Osservando l’immagine qui sopra si nota un bicchiere, ma che cosa comunica? Guardando il colore, la forma, immaginando di reggerlo, percepirne il materiale e il peso, pensando a quale bevanda ci può essere all’interno e in quale occasione e location lo si può utilizzare, ognuno, attraverso l’immaginazione o i ricordi della memoria e quindi attraverso i propri sensi, si crea un’impressione su cosa comunica effettivamente questa fotografia. Ogni individuo ha una sua personale percezione degli stimoli esterni che elabora, ma nonostante ciò un dato tipo di immagine o prodotto può far vivere esperienze sensoriali comuni a più soggetti.



Sì, VIAGGIARE

 

di Ginevra Anghilante


Perché una ragazza di 16 anni, che frequenta la terza liceo musicale, ben inserita, felice, con tanti amici e una vita serena dovrebbe partire verso l’ignoto per frequentare il quarto anno di scuola all’estero?
Forse perché, come dicono alcune mie amiche, sono pazza o forse semplicemente molto molto curiosa e un pizzico anche ambiziosa. Non lo dite al Preside, ma un po’ sono anche stufa di respirare sempre la stessa aria e mi piacerebbe scoprire se nel resto del mondo la scuola funziona come da noi. Soprattutto vorrei conoscere persone e culture diverse dalla mia e mettermi alla prova.

Ma come si fa a partire per l’anno all’estero?

I dubbi di molti genitori e studenti sono rappresentati soprattutto dalla domanda se l’anno scolastico all’estero sia valido per la scuola italiana che si “lascia”. Molti pensano che debba essere ripetuto l’anno una volta tornati in Italia, oppure che debbano essere fatti degli esami di riammissione per il quinto anno. La normativa legata all’anno all’estero è chiara, e si basa sulle linee guida della mobilità studentesca all’estero, tramite il Decreto Legge 297/94 (Testo Unico della Scuola) all’articolo 192, e poi sulla nota del MIUR 10.4.2013 (prot. 843). Una volta stabilita l’importanza degli scambi culturali, la legge considera le esperienze di studio all’estero come parte integrante del percorso di formazione, quindi se trascorri il quarto anno all’estero, oppure un qualsiasi altro periodo scolastico fuori dall’Italia, sarai riammesso nell’istituto di provenienza e non dovrai ripetere l’anno. Per essere riammesso a scuola al quinto anno, dovrai esibire la pagella della scuola superiore che hai frequentato all’estero durante l’anno scolastico, come documento che attesta la tua presenza durante le lezioni in terra straniera. In alcuni casi la scuola italiana, nel riammetterti al quinto anno, valuta anche alcune competenze che potresti aver acquisito.

Quindi non resta che preparare tutta la documentazione e partire. Facile no?

Facile mica tanto. Bisogna partire per tempo, già durante le vacanze di Natale del terzo anno perché i documenti sono tanti e tutti in inglese, qualsiasi destinazione tu scelga. Ti puoi affidare a delle associazioni o agenzie (altamente consigliato) o prendere contatto diretto con una scuola straniera. Solitamente si viene ospitati da host family e anche in questo caso è necessario un po’ di tempo per trovare quella giusta. È anche possibile accedere a molte borse di studio per merito, anche perché alcune destinazioni, come USA e Canada, sono parecchio costose.
Le selezioni non sono proprio una passeggiata, bisogna solitamente presentare un Personal Statement, lettere di raccomandazione dei vostri docenti, essere sempre stati promossi, avere una buona media e ottimi voti soprattutto in inglese e matematica e soprattutto dimostrare di saperlo per davvero l’inglese. Infatti spesso dopo aver presentato la domanda è previsto un colloquio per la selezione in cui valutano non solo il tuo livello di inglese, ma anche la tua motivazione.

Sì, perché per passare un anno lontano da casa, senza genitori e amici, in un Paese dove non parlano la tua lingua e la cultura è totalmente diversa, ci vuole una grande motivazione.
E ve lo dico perché ho vissuto questa esperienza con mio fratello, Nicola, che oggi ha 23 anni ed è un ricercatore di successo, ormai anche cittadino britannico, all’Imperial College di Londra.
A lui Cuneo è sempre stata stretta, con quel gran cervellone da scienziato; uno studente modello che quando è partito (lui in terza superiore perché ha scelto di diplomarsi a Cardiff) conosceva molto bene la lingua inglese. Eppure, nonostante fosse profondamente convinto della sua scelta, i primi mesi sono stati durissimi.

Ogni estate a partire dalla prima media avevo frequentato i corsi estivi nel Regno Unito - racconta Nicola - e quindi ero sicuro sia della padronanza della lingua sia del fatto che mi sarei trovato bene in questo Paese. Eppure, una volta trasferitomi e iniziata la suola (io ho optato per l’International Baccalaureate), mi è mancata la terra sotto i piedi. Tutto era più difficile, le materie scolastiche, socializzare, la quotidianità, trovare sintonia con insegnanti e con la famiglia che mi ospitava. Ricordo che sentivo tremendamente la nostalgia di casa e ogni volta che chiamavo mia madre mi veniva da piangere”.

Quindi non è stato tutto rose e fiori. E come hai fatto poi a portare a termine la tua scelta?

Ho capito che non dovevo strafare, che non dovevo pretendere da me stesso tutto subito, ma semplicemente lasciarmi andare e godermi quella nuova esperienza. Dovevo darmi tempo, cercare di convivere e prendere il buono dalle tante cose diverse che mi circondavano. Così piano piano sono entrato in quel mondo nuovo e quel mondo è entrato in me, tanto che ho deciso dopo il diploma di fermarmi anche per l’università e oggi di abitare e lavorare a Londra”

Cosa ti ha insegnato questa esperienza?

Che ognuno di noi ha delle risorse che spesso non conosce e che le abitudini e la comodità ci impediscono di tirar fuori. Mi ha insegnato a non vergognarmi di cadere e a rialzarmi, ad essere più diplomatico e tollerante anche verso me stesso. Che se ci metti impegno i risultati arrivano e soprattutto che se apri la tua testa, ma anche il tuo cuore alle nuove esperienze non avrai mai rimpianti”

Cosa consigli ad un ragazzo/a che oggi vorrebbe partire?

Se questo è ciò che vuole veramente deve farlo, provare. Certo non è un’esperienza da prendere sotto gamba e soprattutto non bisogna crearsi troppo aspettative prima di partire. Darsi sicuramente degli obiettivi, questo è giusto, ma farlo giorno per giorno con la consapevolezza e l’elasticità mentale che sarà necessaria per proseguire il suo percorse e in tutta la vita.

Cercate anche di scegliere il Paese giusto, leggete, informatevi, anche in base alle vostre aspirazioni ed interessi, perché le possibilità sono davvero immense. E poi non fermatevi mai alla prima impressione, siate curiosi, attenti, disponibili, non abbiate il timore di fallire, perché ognuno di noi è diverso e unico e questa esperienza vi aiuterà sicuramente a crescere e capire un po’ di più chi siete”.

Allora siamo tutti pronti, compresa me. Io spero di andare in Germania e voi?
Vi lascio alcuni link utili se voleste saperne di più.

https://www.studenti.it/studiare-estero-superiori-programmi-borse-di-studio.html

https://www.genitorichannel.it/vita-famiglia/anno-all-estero.html





IMPRESSIONI A CALDO

 

di Aurora Anselmi



Ho scelto il Liceo Artistico perché amo il disegno e le attività creative. Il primo giorno di scuola ero molto agitata e avevo paura di non trovarmi bene, invece mi sono sentita subito ben accolta e a mio agio. Mi sono trovata immediatamente bene con i compagni, le materie sono interessanti e coinvolgenti e i professori molto gentili.

Buongiorno a tutti, sono una ragazza di quattordici anni iscritta al primo anno del Liceo Artistico “Ego Bianchi”.

In questa scuola mi sento libera di essere ciò che sono e sono sicura che nessuno mi giudica.

Una cosa molto interessante e intrigante del Liceo Artistico Musicale è che ci sono alcune giornate in cui si organizzano diverse attività come è accaduto il 23 dicembre in cui, durante l’assemblea d’istituto, abbiamo avuto la possibilità di partecipare a: scambio di vestiti, cucito, body painting, jam session o, per gli appassionati di sport, torneo di pallavolo; alla fine della giornata il dj ha messo alcune canzoni da ballare; inutile dire che è stata una giornata bellissima!

Al Liceo Artistico Musicale, inoltre, vengono organizzati alcuni corsi gratuiti per coloro che sono interessati come ad esempio il giornalino scolastico oppure il corso di scacchi o ancora la band musicale: io mi sono già iscritta al corso di scacchi e scrivo su questo blog e vorrei avere il tempo di partecipare in seguito anche a molte altre attività!!!

Gli alunni in questo istituto vengono interpellati anche riguardo a questioni importanti e questo è meraviglioso perché ci permette di esprimere le nostre opinioni; per esempio il merchandising d’istituto l’hanno disegnato gli alunni e poi sempre gli alunni hanno votato, tramite un sondaggio, il logo secondo loro più appropriato.

Tre altre cose interessanti di questa scuola: i distributori di acqua gratuiti, le macchinette del caffè e i distributori dei panini o il paninaro (importanti perché così anche gli studenti che hanno dimenticato la merenda o il pranzo possono comprarsi qualcosa da mangiare o da bere sul momento).

Ogni giorno che passa sono sempre più convinta che il Liceo Artistico sia la scuola adatta a me.







DONNA, VITA, LIBERTÀ

 

di Aurora Armando


Zan. Zendegi. Azadi” (in Iraniano)

Questo è il grido che negli ultimi mesi si sta diffondendo sul web e nelle varie manifestazioni di piazza in giro per il mondo, in sostegno alle proteste in Iran contro il regime degli Ayatollah che opprime la popolazione da più di 20 anni.

Da inizio settembre l’Iran è sconvolto da violente proteste che coinvolgono 161 città, con più di 18.000 manifestanti arrestati e quasi 500 vittime tra i rivoltosi.

A protestare sono state per prime le studentesse, in molti casi bruciando simbolicamente il proprio velo o tagliandosi pubblicamente i capelli. La Repubblica islamica d’Iran vieta che le donne mostrino i propri capelli in pubblico, farlo è ritenuto un segno di immoralità.

Oltre che per esprimere il dissenso verso l’autorità, la pratica è anche un segno di lutto e, quindi, di vicinanza a Mahsa Amini, uccisa perché non indossava bene il velo: dopo un controllo della polizia morale, la ragazza sarebbe stata picchiata per poi morire dopo due giorni di coma.

Ben presto le proteste si sono però trasformate in moti di dissenso contro l’obbligo del velol’oppressione delle libertà personali e dei diritti civili da parte delle autorità iraniane. Accanto al grido “donne, vita e libertà” risuona anche quello “morte al dittatore”, con riferimento alla Guida Suprema Ali Khamenei.

Dallo scoppio delle proteste le autorità iraniane hanno interrotto l’accesso a Internet in tutto il Paese, in modo discontinuo ma frequente. A partire dal 21 settembre, e per ordine del Consiglio di sicurezza nazionale iraniano, sono state bloccati diverse applicazioni di messaggistica e social media.

È importante ricordare che bloccare l’accesso a Internet viola il diritto alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni, oltre che il diritto alla libertà di riunione pacifica e associazione, sanciti dal Trattato ONU sui diritti politici e civili, di cui l’Iran è Paese firmatario.

Mentre le iraniane in Iran scendono in piazza e si affidano a reti private virtuali e ad altri strumenti per aggirare la censura, a fare da cassa di risonanza alle loro proteste pensano le donne iraniane della diaspora.



Ecco un elenco delle giornaliste occidentali con le radici in Iran, iraniane in esilio, attiviste per i diritti delle donne e delle attrici che, in questo momento, non possono tacere: le voci delle donne iraniane della diaspora su Twitter offrono punti di vista eccezionali sulla rivoluzione in Iran. A portata di clic:

Sima Sabet (@Sima_Sabet). Giornalista dell’International Iran TV.

Negar Mortazavi, giornalista dell’Indipendent in USA.

Masih Alinejad (@alinejadmasih), giornalista e blogger.

Shiva Mahbobi (@shivamahbobi), portavoce della campagna Free Political Prisoners in Iran: il suo motto è «Non sono cresciuta in una famiglia in cui valevo meno di mio fratello. Non posso accettare niente di diverso».

Mahsa Alimardani, ricercatrice dell’Oxford Internet Institute (blog su twitter).

Shadi Sadr (@shadisadr), avvocata e cofondatrice di @Justice4Iran.

Ha contribuito a fondare Women’s Field, associazione a sostegno dei diritti delle donne che ha lanciato diverse campagne, tra cui quella contro la lapidazione, punizione crudele che viene ancora eseguita in Iran. Dopo esser stata ripetutamente arrestata, vive in esilio.

Golnaz Esfandiari (@Gesfandiari), corrispondente per Radio Free Europe dove ha anche un blog (Persian Letters).

Shadi Amin @shadiamin6, attivista e scrittrice. È coordinatrice dell‘Iranian Lesbian Network (6Rang), che ha richiesto l’intervento della comunità internazionale per il rilascio delle due prigioniere, Zahra Sedighi-Hamadani e Elham Choubdar, accusate di corruzione attraverso la promozione dell’omosessualità.

Samaneh Savadi (@samaneh_savadi), attivista che si occupa di uguaglianza di genere. Vive a Brighton e ha fondato Cheragh.org, una piattaforma per la prevenzione delle molestie sessuali incentrata sull’educazione.

Elika Ashoori, giornalista, figlia del politico britannico arrestato e detenuto per 5 anni nella temibile prigione di Evin, a Teheran in Iran, per presunta opposizione politica al regime.

Azadeh Moaveni (@AzadehMoaveni), giornalista del TIME e scrittrice. I suoi libri-reportage sono pietre miliari per capire l’Iran. Come Viaggio di nozze a Teheran, in cui racconta il ritorno, come corrispondente per il Time, nel suo Paese di origine alla vigilia delle elezioni di Mahmoud Ahmadinejad. E Lipstick Jihad (La jihad del rossetto).

Nazanin Boniadi (@NazaninBoniadi), attrice star de Il signore degli anelli – Gli anelli del potere (dove è Bronwyn, madre single e guaritrice delle Terre del Sud).

Golshifteh Farahani, attrice e cantautrice iraniana in esilio a Ibiza (interpretava Salma nel film Un divano a Tunisi di Manèle Labidi). È stata la prima attrice iraniana a entrare in una grande produzione hollywoodiana (il film di Ridley Scott Nessuna verità), primato che l’ha condannata per anni all’esilio in Francia per essersi mostrata senza velo. Qui canta sul palco assieme ai Coldplay, «Baraye» di Shervin Hajipour, l’inno degli iraniani che lottano per la libertà. La canzone che nel testo riporta le frasi scritte sui social dei giovani che protestano per Mahsa Amini.

L’hashtag #MahsaAmini continua a essere tra i più visualizzati

Concludo col dire che non dobbiamo fermare la protesta e anzi dobbiamo lottare per la libertà di tutte le donne nel mondo.








BONES AND ALL

 

di Giovanna Burdese



Film del 2022, diretto dal palermitano Luca Guadagnino, è tratto dall’omonimo romanzo “Fino all’osso” di Camille DeAngelis, regista famoso per aver diretto “Suspiria” e “Chiamami con il tuo nome”.

Bones and all”, in concorso alla mostra del cinema di Venezia nel 2022, narra una storia d’amore fra due persone costrette a scappare e a nascondersi a causa della loro natura nascosta, i due ragazzi infatti sono cannibali.

I protagonisti Maren e Lee, interpretati rispettivamente da Taylor Russell (qui in figura) e Timothée Chalamet, si incontrano casualmente e iniziano a viaggiare insieme sia per trovare cibo sia per scappare dai pericoli che li circondano.

Anche se questo film, come gli altri che ho potuto vedere di Guadagnino, non è sicuramente uno fra i miei preferiti, ma mi ha portato a riflettere…

La storia mi è parsa infatti una metafora di quegli amori impossibili che devono rimanere nascosti per il bene dei due amanti.

Soprattutto in “Chiamami con il tuo nome“ i protagonisti erano costretti a nascondere i loro sentimenti e la loro vera natura.

Queste pellicole, come tante altre, rappresentano situazioni difficili in cui per paura si è costretti a nascondersi, scappare o fingere di essere qualcun altro.

Sono spesso il male che ci circonda, le critiche e l’odio a fermarci, a mettere dei confini alla nostra libertà.

Perché non si può essere liberi, soprattutto in amore, di essere noi stessi?






ASSEMBLEA DI ISTITUTO 23/12/22

 

di Carlotta Sambiagio

Il 23 dicembre si è svolta nella nostra scuola l’Assemblea di Istituto di Natale.

Per cinque ore di fila, tutti gli studenti hanno potuto partecipare ad attività di ogni tipo, dal torneo di pallavolo, ai balli di gruppo su “Just Dance”, dai giochi di carte, ai film, al body painting e tanto altro. Per arrivare, infine, a concludere in bellezza assistendo a più di un’ora di musica dal vivo in atrio!

Le attività sono state studiate e preparate apposta per coinvolgere ogni tipo di persona, dai più sportivi ed energici ai più creativi e calmi. Tutto è stato organizzato con la massima cura dai Rappresentanti di Istituto, i quali hanno anche promesso, al termine dell’assemblea, che giornate come questa sarebbero sicuramente tornate nella nostra scuola.

Per molti è stata l’occasione per scaricare la pressione e rilassarsi dopo le ultime settimane passate a studiare, prima dell’inizio delle vacanze natalizie.

Oltre all’opportunità di rilassarsi, però, è stato un ottimo momento per stringere legami con persone di altre classi, incontrate durante le attività, con cui magari ci si è poi divertiti insieme per l’intera mattinata.

Sintomo del grande entusiasmo è stato sicuramente il fatto che la maggior parte degli studenti ha partecipato, rendendo più viva la scuola, facendo sentire quel clima accogliente che caratterizza il nostro liceo.

Tutti hanno aiutato a rendere indimenticabile questa giornata: chi ha fatto il tifo durante le partite di pallavolo, chi ha ballato, chi ha partecipato alle altre attività… Tutte queste persone hanno alimentato l’assemblea.

Si spera, quindi, di rivedere altre giornate simili durante il resto dell’anno!








LA LIBERTÀ

 

di Asia Margaria




Da molto tempo sentiamo parlare della situazione in Iran, in particolare di ciò che riguarda le lotte delle donne iraniane.

Tutto ha inizio con Masha Amini, una ragazza che venne arrestata e uccisa dalla polizia il 16 settebre 2022 per aver indossato in modo scorretto l'hijab.

L'evento ha suscitato molto scalpore tra il popolo iraniano, soprattutto tra le donne, incentivando queste ultime a scendere in strada e a protestare per ottenere i loro diritti, le loro libertà, non solo per quanto riguarda la scelta se indossare o meno l'hijab, ma tante altre, grandi o piccole che siano e che noi possediamo già.

Ad esempio, la libertà di vestirsi come si desidera, di avere un'istruzione o più semplicemente di baciarsi in pubblico, di amare chi si vuole, la libertà di andare a ballare, di cantare, di nuotare, di divorziare dal marito, ecc…

La libertà è fondamentale. È il diritto che hanno le persone di esprimere se stesse, secondo le proprie origini o scelte. È alla base della vita di ogni essere umano ed ogni essere umano deve goderne. Come tutti, anche le donne iraniane necessitano della libertà, senza non potranno mai mostrare ciò che sono in grado di costruire per fare della loro vita il loro più grande sogno.

Quanto a noi, dobbiamo ritenerci molto fortunati, perché abbiamo la nostra autonomia e indipendenza che le donne iraniane non possiedono. Ci siamo resi conto di quanto la libertà sia importante per esempio nel periodo del covid-19, quando anche noi ne siamo stati privati nella quotidianità.

Ora che siamo tornati alla normalità, dovremmo comprendere a pieno la loro situazione, i loro sentimenti, i loro stati d'animo.

Come possiamo permettere che tutto ciò passi inosservato?

Tutto il mondo lo sa e tutto il mondo ha il dovere di unirsi alle donne iraniane e a tutti coloro che lottano accanto ad esse per offrire il suo aiuto e finalmente lanciare all'unisono un grido di libertà.







COMPIACERE GLI ALTRI: UN’ARMA A DOPPIO TAGLIO

 




di Laura Bota


A te, che hai paura di ‘dire di no’.

Sin da piccoli ci viene detto di ‘aiutare il prossimo’, di ‘essere generosi’ e soprattutto di non ‘essere egoisti’. Veniamo abituati a privarci dei nostri stessi bisogni pur di aiutare l’altro, la quale opinione su di noi è decisamente più importante di quello che pensiamo di noi stessi. ‘Sii altruista’ è la frase tipica dei genitori medi.

Ma cosa significano tutte queste cose? Anche con il migliore degli intenti, queste frasi inculcate nella testa di un bambino possono portare a ben poche cose buone ma a decisamente maggiori problematiche, tra cui il cosiddetto ‘people pleasing’.

Commenti del genere sono ancora più impattanti in quelle famiglie considerate ‘problematiche’, dove il bambino è alla mercé dei comportamenti violenti dei genitori. Per un istinto di sopravvivenza, il bambino manifesta comportamenti di "ipervigilanza", che lo portano a modellare il proprio atteggiamento in base alle situazioni e alle persone circostanti, sviluppando una forte sensibilità alle emozioni e anche ai pensieri altrui. Questo comportamento, trascinato in età adulta, non può che avere esiti di tipo negativo.

Ma che cos’è il people pleasing? Per definizione è il ‘comportamento per cui un individuo sente il bisogno di accontentare ed assecondare gli altri anche quando questo va a scapito dei propri bisogni e dei propri desideri’. Pare proprio l’insegnamento con cui i genitori crescono i propri figli.

Una buona e sana dose di altruismo e generosità è sicuramente favorevole sia per l’individuo stesso sia per le persone che lo circondano: essere disposti ad aiutare gli altri senza avere un secondo fine è la base di quello che è un sano rapporto umano.

Quando però questo ‘essere altruisti’ va ad interferire con le emozioni e le necessità dell’individuo si inizia ad assumere un atteggiamento pericoloso nei propri confronti.

Uno può o non può accorgersene subito, ma quando i favori agli altri diventano delle sorte di ‘obblighi morali’ che sostituiscono anche delle basilari necessità umane come il riposo (un esempio può essere lo svolgere le mansioni degli altri al posto loro) si entra in quello che è un ciclo difficile da fermare.

Quando siamo abituati a negare a noi stessi le nostre necessità e a ‘dire di sì’ agli altri, si va a soffocare una parte di noi che si rischia di perdere. Una parte necessaria che definisce cosa vogliamo davvero e cosa no.

Dunque se una persona sta accontentando l’altra, negando a sé stessa una necessità, è davvero consenso? Cosa separa un consenso “cosciente” da uno che non lo è? È la stessa cosa di un consenso da parte di un minore o di una persona sotto sostanze stupefacenti e/o alcoliche? Ma soprattutto, perché è così pericoloso il people pleasing?

Perché si rischia di perdere sé stessi, diventando un burattino degli altri. Si rischia di non riuscire più a vivere una vita che si basi sui propri sogni. E il problema, forse più grande, è che raramente qualcuno si accorge di cosa sta succedendo. Forse perché troppo abbagliati dagli altri, o non abbastanza coraggiosi per cambiare le cose. Le persone che non riescono a cambiare non sono da incolpare, ma da aiutare. Può capitare a tutti di trovarci in situazioni del genere e non sempre è semplice chiedere aiuto. Via l’orgoglio e le persone che ci fanno stare male, fate spazio alle persone che vi fanno stare davvero bene e che vi ascoltano.

Anche se fa paura, anche se una passeggiata sul carbone ardente sembra più piacevole.

Non è facile da riconoscere anche perché si inizia con le cose semplici, una semplice uscita la sera tardi, non uscire con i propri amici per stare con l’altro o riparare i suoi errori, fino a quando la situazione sfugge di mano e si arriva al caso peggiore: non denunciare una violenza. Con il tempo si inizia ad assecondare sempre di più la persona, a fare tutto ciò che vuole per paura. Paura di perdere l’altro, paura che quella persona ci disprezzi per sempre.

In casi come questi c’è il rischio che nasca un rapporto che si basa sulla dipendenza emotiva, il bisogno patologico di stare il più possibile con quella persona e di renderla felice, a discapito di tutto e tutti. Si inizia a perdere d’occhio quelli che sono i nostri limiti e l’unico obbiettivo diventa quello di ricevere qualche complimento, qualche attenzione da una persona. Tutto perché si è detto un sì di troppo. È una relazione pericolosa che di lati positivi ne ha ben pochi. È qui che si capisce l’importanza dell’imparare ad ascoltare sé stessi e a dire un netto ‘no’ quando necessario. Perché se non lo facciamo noi per noi stessi, nessuno lo farà al posto nostro. Non saranno gli altri a proteggerci. Facciamo dunque sentire la nostra voce anche nelle situazioni più semplici, che appaiono più futili. E se sentiamo la necessità di chiedere aiuto, facciamolo.

Il nostro ‘si’ e il nostro consenso hanno valore in qualsiasi situazione. Qualcuno fa qualcosa che ci mette a disagio? Si fa un profondo respiro e con calma si cerca di discuterne. Senza alzare la voce, senza dover per forza litigare. E se quella persona continua a insistere nonostante il dissenso, è una persona con cui bisogna tagliare i rapporti. Magari nel corso del tempo le cose si sistemerebbero, ma se al momento non vi è modo di avere una relazione felice che si basa sul consenso, è inutile trascinarla avanti. Questo non vuol dire che in un futuro la persona non migliori e che sia impossibile riprendere la relazione, sia platonica o romantica, anzi. Tutti possono diventare delle persone migliori.

Non è colpa nostra se sentiamo il bisogno di allontanarci per un determinato periodo, lungo o corto che sia, da una persona. Se è una persona che tiene davvero a noi, sarà disposta a lasciarci tempo. In una relazione sana un ‘no’ è un ‘no’, non un forse. Non bisogna lasciarsi sottomettere da qualcuno, per quanto difficile sembri fare il contrario.

Esistono dei ‘rimedi’ a questo comportamento autodistruttivo, come il più semplice  ma necessario dialogo, ma anche la terapia. Se non riusciamo da soli a capire i nostri limiti e le nostre necessità, abbiamo il diritto di chiedere aiuto a qualcuno di esperto. Se ci si ritrova in una situazione di pericolo, è utile avere sottomano il numero di telefono di qualcuno di cui ci fidiamo (e possibilmente sempre raggiungibile) o delle autorità. Purtroppo si ha la tendenza a credere di riuscire a fare tutto da soli, ma qual è il problema del chiedere aiuto a una persona magari più grande di noi o che comunque ha un effettivo ‘potere’? Bisognerebbe imparare a mettere da parte la vergogna e il presupposto che nessuno ci possa credere, e fare un tentativo. Non tutte le persone sono orribili, per quanto difficile sia da credere.


E ADESSO?

di Nabou Chillé

Eccoci di nuovo qui, si cambia calendario e si inizia da capo… chissà come mai sin dai tempi dei Romani l’uomo festeggia il passaggio convenzionale e retorico di “un nuovo anno” come se effettivamente da un giorno comune ad un altro potessero cambiare le vite di tutti noi… tutti diventiamo speranzosi, scriviamo buoni propositi e preghiamo per “un nuovo anno” propizio, più di quello precedente almeno…

Questo però è argomento comune a tutte le fasce d’età e io vorrei spostarmi su un piano più soggettivo, che riguarda principalmente i lettori che condividono con me età o anno di studio…

Compagni, ci siamo, siamo arrivati al grande obiettivo che per anni abbiamo inseguito e sperato di raggiungere. Proprio come un maratoneta sogna l’arrivo, ognuno, ognuna e ognun* di noi si è allenato e ha faticato per poter finalmente affrontare l’ultima grande sfida dell’adolescenza, il temuto e tanto odiato ESAME DI MATURITÀ. Solo a sentire il suo nome tra gli studenti si crea il senso di angoscia e ansia che tutti molto bene conosciamo, ma ciò che veramente mi incuriosisce è il dopo… sì, l’esame può spaventare, ma siamo sinceri, cosa c’è di più terrificante di ciò che è inaspettato e incerto come il futuro? Beh, ve lo dico io: la totale mancanza di interesse e curiosità nell’attraversare quell’oscura porta chiamata domani… Guardandomi intorno in questi primi e si spera ultimi mesi di liceo ho notato nei miei coetanei e/o compagni una curiosa impazienza nel finire gli esami per poi subito dopo fiondarsi in un altro impegno di tipo universitario o lavorativo. Non fraintendetemi, trovo molto matura la presa di coscienza di un giovane nel dover decidere e prendere in mano il proprio futuro, ma a volte nel riconoscere questa maturità scorgo nel profondo di alcuni di noi un forte sentimento di repressione e accettazione del proprio destino, spesso dettato dai desideri della famiglia o dalle aspettative di una società che incasella i giovani in uffici o facoltà universitarie solo perché così dev’essere. Ma cosa veramente ognuno di noi desidera? Che cosa ci spinge a doverci subito inserire di nuovo in un sistema che alla fine dei conti non è troppo lontano da quello da cui siamo o stiamo per uscire? Veramente pormi queste domane mi fa venire il mal di testa, per questo quando tutti hanno iniziato a chiedermi che cosa avrei fatto dopo il liceo ho sempre risposto che me ne sarei andata, senza mai dare troppe informazioni, mantenendo sempre un tono convinto e sicuro, ma poi argomentando senza mai parlare di piani o obiettivi fissi da dover assolutamente raggiungere o rispettare. Questo mi ha dato la possibilità di essere più sincera con me stessa e non impormi limiti o aspettative irrealistiche o sproporzionate. Solo oggi posso dire con piena sicurezza che so cosa farò… alla fine me ne vado. Trovo che la scelta di cambiare Paese, cultura, persone, sia la miglior soluzione per me. Sento il bisogno di conoscere nuove realtà, e di trovarmi per la prima volta da sola di fronte al mondo intero. Non giudico chi diversamente dalla sottoscritta decide di continuare gli studi, anzi forse è la scelta migliore, ma allo stesso tempo trovo che non ci sia grande differenza tra un’accademia o un università e la scuola della vita. In ognuno delle due c’è bisogno di grande impegno, coraggio e maturità, una forse può sembrare più dispersiva e poco teorica ma l’altra d’altro canto non ti dà la possibilità di aprirti a 360 gradi come fa il mondo… Che dire, questione di prospettive… alla fin dei conti siamo tutti uguali e diversi, tutti raggiungeremo l’indipendenza ma nessuno farà la stessa vita di un altro. Che cosa meravigliosa crescere, vero? E pensare che ne siamo tutti terrorizzati…



Per ora vi lascio con una piccola riflessione. A voi che come me avete il futuro davanti, di che forma e colore è il vostro domani? Siete impauriti o terribilmente curiosi d’aprire questa porta? E soprattutto in che mondo sperate di entrare attraversandola? Mi chiamo Nabou e da oggi inizia il mio domani.