di
Aurora
Armando
“Zan.
Zendegi. Azadi” (in Iraniano)
Questo
è il grido che negli ultimi mesi si sta diffondendo sul web e nelle
varie manifestazioni di piazza in giro per il mondo, in sostegno alle
proteste in Iran contro il
regime degli Ayatollah
che opprime la popolazione da più di 20 anni.
Da
inizio settembre l’Iran è sconvolto da violente proteste che
coinvolgono 161 città, con più di 18.000 manifestanti arrestati e
quasi 500 vittime tra i rivoltosi.
A
protestare sono state per prime le studentesse, in molti
casi bruciando simbolicamente il proprio velo o tagliandosi
pubblicamente i capelli. La Repubblica islamica d’Iran
vieta che le donne mostrino i propri capelli in pubblico, farlo è
ritenuto un segno di immoralità.
Oltre
che per esprimere il dissenso verso l’autorità, la pratica è
anche un segno di lutto e, quindi, di vicinanza a Mahsa Amini, uccisa
perché non indossava bene il velo: dopo un controllo della polizia
morale, la ragazza sarebbe stata picchiata per poi morire dopo due
giorni di coma.
Ben
presto le proteste si sono però trasformate in
moti di dissenso contro
l’obbligo del velo, l’oppressione
delle libertà personali e dei diritti civili da
parte delle autorità iraniane. Accanto al grido “donne,
vita e libertà” risuona
anche quello “morte
al dittatore”,
con riferimento alla Guida Suprema Ali Khamenei.
Dallo
scoppio delle proteste le
autorità iraniane hanno interrotto
l’accesso a Internet in
tutto il Paese, in modo discontinuo ma frequente. A partire dal 21
settembre, e per ordine del Consiglio di sicurezza nazionale
iraniano, sono state bloccati diverse applicazioni di messaggistica e
social media.
È
importante ricordare che bloccare l’accesso a Internet viola
il diritto alla libertà di espressione e all’accesso alle
informazioni,
oltre che il
diritto alla libertà di riunione pacifica e associazione,
sanciti dal Trattato
ONU sui diritti politici e civili,
di cui l’Iran è Paese firmatario.
Mentre
le iraniane in Iran scendono in piazza e si affidano a reti private
virtuali e ad altri strumenti per aggirare la censura, a
fare da cassa di risonanza alle loro proteste pensano le donne
iraniane della diaspora.
Ecco
un elenco delle giornaliste occidentali con le radici in Iran,
iraniane in esilio, attiviste per i diritti delle donne e delle
attrici che, in questo momento, non possono tacere: le voci delle
donne iraniane della diaspora su Twitter offrono punti di vista
eccezionali sulla rivoluzione in Iran. A portata di clic:
Sima
Sabet (@Sima_Sabet). Giornalista dell’International Iran TV.
Negar
Mortazavi, giornalista dell’Indipendent in USA.
Masih
Alinejad (@alinejadmasih), giornalista e blogger.
Shiva
Mahbobi (@shivamahbobi),
portavoce
della campagna Free Political Prisoners in Iran: il suo motto è
«Non sono cresciuta in una famiglia in cui valevo meno di mio
fratello. Non posso accettare niente di diverso».
Mahsa
Alimardani, ricercatrice
dell’Oxford Internet Institute (blog su twitter).
Shadi
Sadr (@shadisadr), avvocata e cofondatrice di @Justice4Iran.
Ha
contribuito a fondare Women’s Field, associazione a sostegno dei
diritti delle donne che ha lanciato diverse campagne, tra cui quella
contro la lapidazione, punizione crudele che viene ancora eseguita in
Iran. Dopo esser stata ripetutamente arrestata, vive in esilio.
Golnaz
Esfandiari (@Gesfandiari),
corrispondente
per Radio Free Europe dove ha anche un blog (Persian
Letters).
Shadi
Amin @shadiamin6, attivista
e scrittrice. È coordinatrice dell‘Iranian Lesbian Network
(6Rang),
che ha richiesto l’intervento della comunità internazionale per il
rilascio delle due prigioniere, Zahra Sedighi-Hamadani e Elham
Choubdar, accusate di corruzione attraverso la promozione
dell’omosessualità.
Samaneh
Savadi (@samaneh_savadi),
attivista
che si occupa di uguaglianza di genere. Vive a Brighton e ha fondato
Cheragh.org, una piattaforma per la prevenzione delle molestie
sessuali incentrata sull’educazione.
Elika
Ashoori,
giornalista, figlia del politico britannico arrestato e detenuto per
5 anni nella temibile prigione di Evin, a Teheran in Iran, per
presunta opposizione politica al regime.
Azadeh
Moaveni (@AzadehMoaveni),
giornalista
del TIME e scrittrice. I suoi libri-reportage sono pietre miliari per
capire l’Iran. Come Viaggio
di nozze a Teheran,
in cui racconta il ritorno, come corrispondente per il Time,
nel suo Paese di origine alla vigilia delle elezioni di Mahmoud
Ahmadinejad. E Lipstick
Jihad (La
jihad del rossetto).
Nazanin
Boniadi (@NazaninBoniadi),
attrice
star de Il
signore degli anelli – Gli anelli del potere (dove
è Bronwyn, madre single e guaritrice delle Terre del Sud).
Golshifteh
Farahani, attrice
e cantautrice iraniana in esilio a Ibiza (interpretava
Salma nel film Un
divano a Tunisi di
Manèle Labidi). È stata la prima attrice iraniana a entrare in una
grande produzione hollywoodiana (il film di Ridley Scott Nessuna
verità),
primato che l’ha condannata per anni all’esilio in Francia per
essersi mostrata senza velo. Qui canta sul palco assieme ai Coldplay,
«Baraye»
di Shervin Hajipour, l’inno degli iraniani che lottano per la
libertà. La canzone che nel testo riporta le frasi scritte sui
social dei giovani che protestano per Mahsa Amini.
L’hashtag
#MahsaAmini continua a essere tra i più visualizzati
Concludo
col dire che non dobbiamo fermare la protesta e anzi dobbiamo lottare
per la libertà di tutte le donne nel mondo.