domenica 15 gennaio 2023

COMPIACERE GLI ALTRI: UN’ARMA A DOPPIO TAGLIO

 




di Laura Bota


A te, che hai paura di ‘dire di no’.

Sin da piccoli ci viene detto di ‘aiutare il prossimo’, di ‘essere generosi’ e soprattutto di non ‘essere egoisti’. Veniamo abituati a privarci dei nostri stessi bisogni pur di aiutare l’altro, la quale opinione su di noi è decisamente più importante di quello che pensiamo di noi stessi. ‘Sii altruista’ è la frase tipica dei genitori medi.

Ma cosa significano tutte queste cose? Anche con il migliore degli intenti, queste frasi inculcate nella testa di un bambino possono portare a ben poche cose buone ma a decisamente maggiori problematiche, tra cui il cosiddetto ‘people pleasing’.

Commenti del genere sono ancora più impattanti in quelle famiglie considerate ‘problematiche’, dove il bambino è alla mercé dei comportamenti violenti dei genitori. Per un istinto di sopravvivenza, il bambino manifesta comportamenti di "ipervigilanza", che lo portano a modellare il proprio atteggiamento in base alle situazioni e alle persone circostanti, sviluppando una forte sensibilità alle emozioni e anche ai pensieri altrui. Questo comportamento, trascinato in età adulta, non può che avere esiti di tipo negativo.

Ma che cos’è il people pleasing? Per definizione è il ‘comportamento per cui un individuo sente il bisogno di accontentare ed assecondare gli altri anche quando questo va a scapito dei propri bisogni e dei propri desideri’. Pare proprio l’insegnamento con cui i genitori crescono i propri figli.

Una buona e sana dose di altruismo e generosità è sicuramente favorevole sia per l’individuo stesso sia per le persone che lo circondano: essere disposti ad aiutare gli altri senza avere un secondo fine è la base di quello che è un sano rapporto umano.

Quando però questo ‘essere altruisti’ va ad interferire con le emozioni e le necessità dell’individuo si inizia ad assumere un atteggiamento pericoloso nei propri confronti.

Uno può o non può accorgersene subito, ma quando i favori agli altri diventano delle sorte di ‘obblighi morali’ che sostituiscono anche delle basilari necessità umane come il riposo (un esempio può essere lo svolgere le mansioni degli altri al posto loro) si entra in quello che è un ciclo difficile da fermare.

Quando siamo abituati a negare a noi stessi le nostre necessità e a ‘dire di sì’ agli altri, si va a soffocare una parte di noi che si rischia di perdere. Una parte necessaria che definisce cosa vogliamo davvero e cosa no.

Dunque se una persona sta accontentando l’altra, negando a sé stessa una necessità, è davvero consenso? Cosa separa un consenso “cosciente” da uno che non lo è? È la stessa cosa di un consenso da parte di un minore o di una persona sotto sostanze stupefacenti e/o alcoliche? Ma soprattutto, perché è così pericoloso il people pleasing?

Perché si rischia di perdere sé stessi, diventando un burattino degli altri. Si rischia di non riuscire più a vivere una vita che si basi sui propri sogni. E il problema, forse più grande, è che raramente qualcuno si accorge di cosa sta succedendo. Forse perché troppo abbagliati dagli altri, o non abbastanza coraggiosi per cambiare le cose. Le persone che non riescono a cambiare non sono da incolpare, ma da aiutare. Può capitare a tutti di trovarci in situazioni del genere e non sempre è semplice chiedere aiuto. Via l’orgoglio e le persone che ci fanno stare male, fate spazio alle persone che vi fanno stare davvero bene e che vi ascoltano.

Anche se fa paura, anche se una passeggiata sul carbone ardente sembra più piacevole.

Non è facile da riconoscere anche perché si inizia con le cose semplici, una semplice uscita la sera tardi, non uscire con i propri amici per stare con l’altro o riparare i suoi errori, fino a quando la situazione sfugge di mano e si arriva al caso peggiore: non denunciare una violenza. Con il tempo si inizia ad assecondare sempre di più la persona, a fare tutto ciò che vuole per paura. Paura di perdere l’altro, paura che quella persona ci disprezzi per sempre.

In casi come questi c’è il rischio che nasca un rapporto che si basa sulla dipendenza emotiva, il bisogno patologico di stare il più possibile con quella persona e di renderla felice, a discapito di tutto e tutti. Si inizia a perdere d’occhio quelli che sono i nostri limiti e l’unico obbiettivo diventa quello di ricevere qualche complimento, qualche attenzione da una persona. Tutto perché si è detto un sì di troppo. È una relazione pericolosa che di lati positivi ne ha ben pochi. È qui che si capisce l’importanza dell’imparare ad ascoltare sé stessi e a dire un netto ‘no’ quando necessario. Perché se non lo facciamo noi per noi stessi, nessuno lo farà al posto nostro. Non saranno gli altri a proteggerci. Facciamo dunque sentire la nostra voce anche nelle situazioni più semplici, che appaiono più futili. E se sentiamo la necessità di chiedere aiuto, facciamolo.

Il nostro ‘si’ e il nostro consenso hanno valore in qualsiasi situazione. Qualcuno fa qualcosa che ci mette a disagio? Si fa un profondo respiro e con calma si cerca di discuterne. Senza alzare la voce, senza dover per forza litigare. E se quella persona continua a insistere nonostante il dissenso, è una persona con cui bisogna tagliare i rapporti. Magari nel corso del tempo le cose si sistemerebbero, ma se al momento non vi è modo di avere una relazione felice che si basa sul consenso, è inutile trascinarla avanti. Questo non vuol dire che in un futuro la persona non migliori e che sia impossibile riprendere la relazione, sia platonica o romantica, anzi. Tutti possono diventare delle persone migliori.

Non è colpa nostra se sentiamo il bisogno di allontanarci per un determinato periodo, lungo o corto che sia, da una persona. Se è una persona che tiene davvero a noi, sarà disposta a lasciarci tempo. In una relazione sana un ‘no’ è un ‘no’, non un forse. Non bisogna lasciarsi sottomettere da qualcuno, per quanto difficile sembri fare il contrario.

Esistono dei ‘rimedi’ a questo comportamento autodistruttivo, come il più semplice  ma necessario dialogo, ma anche la terapia. Se non riusciamo da soli a capire i nostri limiti e le nostre necessità, abbiamo il diritto di chiedere aiuto a qualcuno di esperto. Se ci si ritrova in una situazione di pericolo, è utile avere sottomano il numero di telefono di qualcuno di cui ci fidiamo (e possibilmente sempre raggiungibile) o delle autorità. Purtroppo si ha la tendenza a credere di riuscire a fare tutto da soli, ma qual è il problema del chiedere aiuto a una persona magari più grande di noi o che comunque ha un effettivo ‘potere’? Bisognerebbe imparare a mettere da parte la vergogna e il presupposto che nessuno ci possa credere, e fare un tentativo. Non tutte le persone sono orribili, per quanto difficile sia da credere.