Andrea Olla
Non è sicuramente la prima occasione in cui sento parlare di migrazione, è forse da quando sono nato che, ascoltando quel poco che del telegiornale riuscivo a capire e i discorsi in casa, ho avuto coscienza di cosa si trattasse. Purtroppo è solo da qualche anno che si sensibilizza su questa tematica nelle scuole, in antitesi a buona parte della cronaca o della politica. La nostra pelle bianca è sempre stata al riparo dalle bombe, dalle torture, il nostro stomaco è sempre stato pieno, abbiamo sempre nuotato nel caldo Mar Mediterraneo estivo delle nostre spiagge. La stessa acqua salata che a noi evoca i ricordi una bella vacanza, per un immigrato è una sfida da affrontare, una partita a dadi con la morte.
L'uomo ha cominciato a migrare prima di definirsi tale, prima ancora che qualcuno ci facesse fare l' "aggiornamento" che ci ha permesso di camminare su due "zampe". E' nella natura dell'homo cercare un habitat migliore dove sopravvivere, non c'è quindi cosa più umana di voler migliorare la propria condizione o tanto più di voler salvare la propria vita.
Oggi, in qualunque Stato che non sia in una profonda crisi economica o in guerra civile, è tutto comodo e organizzato: la sanità è efficiente, ci sono supermercati, quasi tutti possiedono una lavatrice, un forno a microonde... ma non ovunque è così.
Molto spesso quando si parla di questo argomento ci si sente rispondere che non è colpa nostra, o dire che potrebbero stare nel loro Paese come noi stiamo nel nostro, con slogan come "aiutiamoli a casa loro", dimenticando che sì, siamo anche noi responsabili di aver reso l'Africa un continente del terzo mondo. Durante l'ondata di colonizzazione africana cominciata a partire dell' XI secolo e conclusa nel Novecento abbiamo rubato materie prime, abbiamo eliminato o schiavizzato migliaia di popolazioni e abbiamo portato malattie non autoctone . Non parlo solo degli altri stati potenti d'Europa, anche l'Italia durante i periodi storico-politici più illuminati così come in quelli bui ha sempre inseguito il sogno del "posto al sole". Molti di noi ricordano solo il genocidio in Etiopia del ventennio fascista, ma lo stesso Giovanni Giolitti, uno dei più grandi statisti della nostra storia, ha avviato una campagna militare in Libia.
Viviamo in un'epoca in cui la politica si aggrappa alle paure più condivise dagli elettori per creare discorsi strutturati ad hoc per sollevare polveroni d'odio e discriminazione. Purtroppo in Italia in questi ultimi dieci anni quello dei "porti chiusi" è praticamente diventato un trend, ma c'è veramente bisogno di fermare una invasione? Il principale risultato di alcuni dati ISTAT è che la presenza straniera in Italia è superiore alla media europea, ma in linea, o inferiore, agli altri Paesi con cui di solito ci si paragona: in Austria i cittadini stranieri sono pari al 16% della popolazione, in Irlanda, Belgio e Germania questo dato si aggira intorno al 12%, e in Italia? 8,8%.
C'è da aggiungere poi che ovviamente non si parla di 5 milioni e mezzo di immigrati africani, senza qualifiche o che ha sempre vissuto in povertà, infatti quasi tre milioni provengono da Romania, Marocco, Albania, Cina e Ucraina.
Se, nonostante i dati ufficiali sfatino il mito dell'invasione, ancora gran parte della popolazione italiana votante si schiera a favore della chiusura dei porti significa che c'è una evidente distorsione di come viene percepito il problema. Ringrazio infatti attrici e collaboratori del progetto teatrale "Prima fu la volta dei migranti" (e non solo, non sono gli unici) che, nonostante le difficoltà nel proseguire questa attività a distanza si impegnano per invertire la rotta dell'opinione pubblica partendo dai più giovani. In Italia il problema legato ai fenomeni migratori non è rappresentato dagli immigrati, ma dalla discriminazione e dall'egoismo. Tutti quei governi che cavalcano l'onda dei porti chiusi aboliscono gli SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) rendendo l'integrazione ancora più complicata e peggiorano la situazione.
Il trailer: https://youtu.be/V1zZDl2m-9Y