BEETHOVEN NON S’INCHINA
Nazareno Fusta
Nel 1770 un refolo denso di novità scuote l’Europa: dapprima alcune frange, con il tempo un’intera società. Il Vecchio e il Nuovo Mondo sono scossi da violente insurrezioni popolari, in cui gli ideali di tolleranza e dignità, che pongono l’uomo, il cittadino libero, al centro della società, trovano un campo in cui germinare. Questa breve e sommaria ricerca tenta di analizzare la figura di Ludwig Van Beethoven non da un punto di vista biografico o musicale, bensì - pericolosa ambizione – un Beethoven figlio di quel tempo, in cui vi nasce e vi cresce, lo può respirare, gli soffia sulla pelle, ne parla la lingua, e ce ne consegna un ritratto. Così come non è immaginabile slegare Bach dalla dimensione spirituale, non possiamo scindere la figura di Beethoven dal suo tempo; sono due mondi che sono in contrasto, eppure così essenziali l’uno per l’altro, che, senza quel tempo non avremmo Beethoven, e senza Beethoven non avremmo quel tempo. Uno segna l’altro in modo indelebile. Beethoven non conobbe la tirannia, sia nel Protettorato di Bonn, sia a Vienna, ma visse in uno stato “illuminato” e moderato, dove gli scritti di Voltaire, Rousseau, Montesquieu e Schiller influenzano il pensiero dei governanti e del popolo. Nella sua vita non sperimentò le idee che sostenne, né tantomeno la democrazia e l’egualitarismo. Per avvicinarsi allo spirito che lo animava in gioventù, dobbiamo considerare il suo carattere, brusco e schivo, e la sua forte personalità, unita ad un talento straordinario, le quali gli permisero di essere impresario di sé stesso, e di ottenere in poco tempo fama e indipendenza economica. La nobiltà lo proteggeva, lo foraggiava, ma non lo aveva alle proprie dipendenze. È un grande passo avanti rispetto ai suoi illustri predecessori: il suo maestro Haydn, ma anche Mozart e Bach - esclusi brevi momenti di libera iniziativa terminati in ingenti perdite economiche - erano sul libretto paga dei nobili e delle casate. La sua figura incarna il nuovo ritratto di musicista, libero e intraprendente. In vita è riconosciuto come il compositore più influente d’Europa. Alla sua morte lo sarà Franz Schubert, ma, ahinoi, godrà di questo prestigio solo un anno. Se questi temi lo ispirarono fin da giovane possiamo notarlo nelle sue produzioni. Egmont è un dramma di Johann Wolfgang von Goethe, autore prediletto del giovane Beethoven, che accetta entusiasta di scriverne le musiche. Il desiderio di libertà e il sacrificio della propria vita per la patria: questo è lo scopo che Egmont persegue col suo eroismo. Per Beethoven questa aspirazione alla libertà è divenuto il contenuto essenziale del dramma. Un aneddoto significativo che lega il poeta, simbolo della letteratura ottocentesca tedesca e non con il musicista è l’episodio accaduto nel 1812 a Toplitz, una cittadina termale austriaca. In un periodo di villeggiatura, dopo un iniziale momento di solitudine, Beethoven scrisse al suo editore Breitkopf: Goethe è qui! Tra i due non ci fu affinità, anzi. Un pomeriggio, nella via centrale, squilli di tromba e passaggi di carrozze annunciarono l’arrivo dei coniugi reali. La folla immediatamente si accalcò sulle strade, e tra i curiosi si distinse il poeta proteso in un vistoso inchino, radioso e dai modi garbati, pronto a recitare un suo verso per i coniugi, mentre, con una reazione opposta, il musicista si tirò su il cappello, con aria imbronciata si nascose il viso nel bavero del cappotto e si allontanò dalla folla. Tutti se ne accorsero, ma nessuno se ne stupì.
Goethe annoterà:
“Il suo talento mi ha stupefatto, ma egli, purtroppo, è una personalità irriducibilmente ribelle, il suo carattere non lo rende ricco di gioia né per sé né per gli altri. Egli, già taciturno per natura, lo diviene doppiamente per la sua infermità".
Il brano che più esprime la sensibilità di Beethoven è una delle sue ultime opere: ormai completamente sordo, segnato dalle sofferenze fisiche e morali che lo accompagnano da molti anni, si esprime con l’unico linguaggio che conosce: la musica. L’arte del suono si fa portatrice di un sentimento di unità e fratellanza, e dev’essere il mezzo unificatore fra tutti i popoli. Il testo musicato è un’ode di Friedrich Schiller, inserita nel quarto movimento della Nova Sinfonia. Una melodia semplice ma nobile, poche note affidate a coro e orchestra, prima sussurrate dai legni, seguiti dagli archi, dal grave all’acuto, infine intonate dal coro. Un lento crescendo che sfocia in fortissimo tiene desto il pubblico, pronto a canticchiare il tema insieme all’orchestra, forse commosso e raggiante. La parola che si distingue fra le altre è freude, gioia in tedesco, e, i solisti, in un frenetico botta e risposta con gli strumenti, quasi la gridano, sovrastando la moltitudine di suoni che ci attraversano. Che ad urlare sia il sentimento di Beethoven, oppure quello di tutta l’umanità?
Per un Beethoven al passo con i tempi:
-Beethoven, Allegretto dalla Settima Sinfonia in stile Salsa. Beethoven con un cesto di frutta alla Carmen Miranda in testa, sempre meglio delle parrucche pieni di pidocchi, no?
https://www.youtube.com/watch?v=mZRb0FyAa9s
-La Quinta Disco, molti synth intervallati da noti passaggi della Sinfonia. Sembra di girare con Quincy Jones nel Bronx di New York, e allo stesso tempo di trovarsi nella Vienna del primo Ottocento.
https://www.youtube.com/watch?v=4MFbn8EbB4k
-Immaginatevi in un elegante jazz club, seduti ad un tavolo, luci soffuse, "troppe cravatte sbagliate", mentre centellinate un Martini e oliva come vuole la più occidentale delle tradizioni. Un bel sottofondo potrebbe essere:
https://www.youtube.com/watch?v=r8aqIzmuZ9I
-Per chi ama il dolce e coinvolgente suono del flauto di plastica che si usava alla medie, l'anti musicale fatto strumento, ecco 1001 flautini furiosi pronti a deliziarci con l'Ode alla Gioia. E poi scoppiano le guerre, ora sappiamo il motivo.