lunedì 5 aprile 2021

La macchina del tempo

Anastasia Arese

Cara Charlotte,

ti scrivo da in un periodo storico di trambusto, in cui l’arte non ha davvero un posto. Arte, musica e cultura vengo considerate solo un lusso, un vezzo di pochi e sono sempre meno le persone che voglio fare di lavoro solo ed esclusivamente gli artisti.
Possono essere diversi i motivi.
Ad esempio il fatto che ad oggi l’arte, intesa non solo in senso figurativo, viene considerata come obsoleta: in fondo, perché stare ancora a creare qualcosa con la propria immaginazione, quando abbiamo la tecnologia avanzata che può svolgere tutto il lavoro schiacciando solamente qualche tasto? Perché riflettere su concetti “astratti”, che non
portano a nessun risultato materiale, quando invece si potrebbe pensare a studiare economia?
Oppure potrebbe essere il fatto che l’arte, oggi, grazie anche ai social (un mezzo di comunicazione che mette in contatto persone da tutte le parti del mondo) che aprono virtualmente le gallerie d’arte, le mostre a tutti…, è alla portata di chiunque, e non in senso positivo, perché non rappresenta più una fonte disponibile solo a un’élite e inarrivabile per il popolo. La sua importanza, la sua bellezza, sono state sminuite, dalla eccessiva disponibilità, che spesso priva i concetti del loro vero significato.
L’arte è stata privata di tutte le sue qualità, non è più un mezzo di comunicazione, d’espressione, ma è solo più un banale fine, senza strumento, che deve colpire il gusto estetico comune istantaneamente, in attesa di una nuova opera, che soppianterà quella precedente.
Ma l’arte non è solo questo…
Ho voluto prendere come spunto la tua storia, perché, oltre che per il triste destino, segnato sin dal tuo nome, mi ha colpito anche il rapporto che hai avuto con l’arte.


A noi sono arrivati i lavori che in soli ventisei anni di vita sei riuscita a produrre. Uno dei più importanti, e su cui vorrei soffermarmi oggi è: “Vita o teatro?” 
Un'unione fra dipinti e “Singspiel”, ovvero composizioni tipiche della Germania, che uniscono recitazione, musica e canto. Un viaggio nella storia della tua vita in milletrecento disegni, realizzati con la tecnica del guazzo. In molti, oggi lo paragonano allo story-board di un film, oppure a un fumetto. Altri ancora a un manoscritto medioevale oppure a una Grafic Novel.
Personalmente lo definirei un “Carnet de Voyage”, un quaderno che ti ha seguito, in cui hai raccontato molto di te, delle tue sofferenze e della Shoa, fino alla fine, quando, prima di essere deportata e poi uccisa l’hai affidato a qualcuno che potesse proteggerlo.
Il racconto di un caos che nasce da dentro, dai tuoi rapporti, dalla tua famiglia, e che poi arriva a scontrarsi, quasi come per un gioco infimo del destino con il caos dell’esterno, della furia Nazista.
Esplori molti aspetti all’interno della tua opera e vorrei concentrarmi su un dettaglio, ovvero lo scopo dei tuoi disegni. Oltre che servirti a raccontare di te, l’arte per te ha avuto un ruolo di cura, prima dalle crisi depressive - causate dalla dolorosa scoperta delle morti nella tua famiglia - da cui riesci sempre, grazie proprio all’arte, a riemergere, a non sprofondare nel vuoto, poi dall’odio razziale che cresceva intorno a te nella società.
Ed è proprio la “cura”, uno dei miliardi di significati dell’arte, che oggi sembrano essere stati dimenticati. Ma in che modo l’arte può curare?
“Arte” deriva dalla radice ariana “ar-“, che in sanscrito significa andare verso, produrre fare.
In latino “ars” si ricollega alle abilità, materiali o spirituali, che mirano a costruire qualcosa.
Rielaborare i pensieri, le esperienze che abbiamo vissuto, e ciò che abbiamo visto, e tradurre tutto ciò in un qualcosa che ha dentro non solo l’esperienza, ma anche, e inevitabilmente, qualcosa di nostro. Sta in questo la cura dell’arte.
Nelle tue opere, questo elemento traspare profondamente. Si sussegue il confronto fra la realtà di ciò che hai davvero vissuto e il “teatro”, ovvero la rielaborazione. Non esiste finzione, perché l’arte diventa una vera e propria terapia, in cui, via via che si procede verso la fine, non mutano solo gli scenari e i testi, ma anche i tratti, sempre più frenetici, come se da un momento all’altro quei fogli potessero esserti strappati di mano….
Oggi la gente si è dimenticata di questo aspetto dell’arte, e la denigra. Non si rende conto che essa, in tutte le sue forme (disegno, musica, scrittura,…) è il migliore mezzo per poter non solo comunicare stati d’animo, ricordi, esperienze, ma anche per rielaborare, riflettere, e tirare fuori, inconsciamente, un qualcosa che appartiene solo ed esclusivamente al noi.
Non bisogna per forza essere bravi a dipingere, o suonare uno strumento. L’arte sta in tutto ciò che facciamo ogni giorno, in tutte le cose che amiamo e che ci fanno stare bene,
e che, innegabilmente, esprimono qualcosa del nostro Io più profondo.
“Realtà o Teatro?” oggi rappresenta non solo un documento della ferocia nazista e della tua vita tormentata, ma anche un elemento importante nell’arte moderna, che si è spinta sempre di più verso l’espressione del “come” un soggetto ci fa sentire, invece di “come” si presenta, proprio come hai espresso nelle tue opere, il cui tratto segue la trama delle tue sensazioni e di ciò che ti accadeva intorno e di ciò che vivevi. Ed è un po' quello che dovrebbero fare tutti con l’arte: “usarla” come una stupenda e intricata compagna di viaggio.

Spero che questa lettera ti abbia fatto piacere, chissà se ne hai già ricevute, da così lontano (nel tempo). 
Tua, Anastasia.

Ps. Charlotte Salomon (1917-1943) è stata una pittrice tedesca, di origini ebraiche. Le fu affidato il nome della zia, morta suicida anni prima della sua nascita; la stessa sorte toccò alla mamma e ad altri parenti della sua famiglia, e rappresenta un argomento ricorrente nei suoi dipinti. Dopo aver passato pochi anni all’ Accademia di Belle Arti di Berlino, ha dovuto lasciare il suo percorso a causa del clima antisemita in crescita in quell’epoca. Gli ultimi anni della sua vita sono destinati alla fuga dai nazisti, che alla fine cattureranno lei e il marito.
Verrà uccisa lo stesso giorno del suo arrivo ad Auschwitz. 
Alcuni dei suoi lavori sono stati portati ai genitori, solo dopo la sua morte, e dopo molti anni
sono stati donati al Museo storico Ebraico di Amsterdam.