TEMPI BUI E SILENZIOSI
Ci
piaceva frequentare un locale dove, qualche sera al mese, si
esibivano dei musicisti locali. Erano semplici appassionati o veri e
propri professionisti, alcuni bravi e altri meno. Presentavano
repertori che spaziavano tra generi diversi, rivisitati e
interpretati a loro gusto, con timbri e sfumature sempre nuovi.
L’ambiente, con il tempo, è diventato intimo e allo stesso tempo
aperto a frequentatori casuali, dove i soliti habitué erano
disposti a percorrere molta strada e i più accaniti a resistere fino
alla chiusura.
È da più di un anno che le serate sono annullate,
lasciando più vuote le nostre scoperte musicali. È una mancanza
comune, un divertimento che manca e che non si può rimpiazzare. Per
tutti i fruitori di musica, di qualsiasi genere, non è un gran bel
momento.
I
locali e i teatri sono alcuni tra i grandi assenti di
questi mesi.
Le rappresentazioni e gli eventi erano momenti di comunità, momenti vivi in cui si avvertiva uno scambio meraviglioso tra musica e pubblico.
L’esperienza della musica dal vivo è incredibile perché è sempre diversa, ogni volta si rinnova. Cogliere un particolare emozionante, destreggiarsi in una via del suono che non conoscevamo, ammirare una sola nota che distrugge un’armonia per costruirne una seconda, soffermarsi sul timbro di uno strumento, cogliere le facce tese degli strumentisti impegnati in un virtuosismo, stupirsi dell’estensione di una voce... la musica dal vivo la fanno sia i musicisti che gli ascoltatori. In un concerto riuscito, in cui l’interazione fra le due parti è forte, può capitare di assistere a battiti di mani: si chiudevano gli occhi e gli applausi erano meritati. Altre volte il vociare sovrastava la musica, segno che le chiacchiere meritavano di essere ascoltate più della canzone.
L’ultimo concerto a cui ho assistito è stato a Menton, quest’estate, dove il festival di musica ha potuto riprendere.
In Italia? Un grande evento ha deciso di non fermarsi, anzi, deciso più che mai di proseguire come se nulla fosse, ha posto delle condizioni per la ripartenza.
Due mesi fa si accese, sulle pagine dei giornali
una discussione: il festival di Sanremo, tempio della canzone
italiana, meritava o no di avere il pubblico, seppur in un momento di
pandemia e con tuti i teatri chiusi da mesi? Lascio a voi lettori il
giudizio. E tralasciando gli scambi di vedute, in un Festival dove
per porgere i fiori si è ideato un avveniristico carrello, lo Stato
Sociale ha portato alla luce un disagio che non forse tutti
avvertono. In un tragico (perché tragico è) monologo, hanno elencato
teatri e locali di musica che non riapriranno quando si potrà.
Chiusi perché non sono stati aiutati a sufficienza. E sono in tutta
Italia, da Nord a Sud, nelle grandi città o nelle province, quelli
costretti a tenere le saracinesca abbassata.
Alcatraz,
Milano: aperto nel 1997 chiuso a
febbraio 2020, non sappiamo quando riaprirà.
Teatro dell’angelo,
Roma: aperto
nel ’94,
chiuso per sempre. Cinema Iris, Messina: non sappiamo
quando riaprirà.
Negli anni ’90
un musicista apre il Cage a Livorno perché,
dice, le città
senza
i club sono più brutte e vuote: non sappiamo quando riaprirà.
Il cinema
Mandrioli in provincia di Bologna continua a proiettare film durante
il lockdown,
a porte chiuse, perché
non
manchino nella città
le
voci dei personaggi:
non sappiamo quando riaprirà.
Hiroshima, Torino: non sappiamo. Teatro
Massimo, Palermo. Cinema Adriano. Sherwood festival, Miami, Balla
coi cinghiali:
sospesi. Primo maggio: senza pubblico. Teatro Salone Margherita: chiuso
definitivamente. Festival di Sanremo 2021: 26 cantanti, solo tra
loro oltre
50.000 concerti, oltre mille live club, oltre 10.000 persone che
non lavorano
più da un anno. Ma non sarà
per
sempre. Credeteci, i nostri fiori non sono
ancora rovinati”.
Ho
trovato giusto che i pesci grandi, i concorrenti di Sanremo, abbiano
cercato di aiutare i pesci piccoli in un momento di fragilità. E non
solo loro si sono esposti alle critiche e all’opinione pubblica:
anche il paladino dell’opera italiana nell’universo, Riccardo
Muti, in una infuocata lettera diretta all’ex premier premeva per la
riapertura dei teatri.
Un
estratto: “ Le chiedo, sicuro di interpretare il pensiero non solo
degli Artisti ma anche di gran parte del pubblico, di ridare vita
alle attività
teatrali
e musicali per quel bisogno di cibo spirituale senza il quale la
società
si
abbrutisce.”
C’è
stata una risposta, sapete quale? Hanno distrutto la cultura in un
sol colpo, chapeau.
Sempre
Riccardo Muti, in una recente rappresentazione del “Così fan
tutte” di Mozart, al Regio di Torino, ha portato sul palco il
problema, e ora sta dirigendo alcuni teatri di Italia, presentando
un repertorio molto interessante, e molto italiano.
Ma
tutti i personaggi musicali e gli attori teatrali si sono attivati,
per cercare una soluzione compatibile con la situazione di emergenza.
È tempo di ideare un nuovo tipo di cultura, che si avvicini a più
gente possibile, non lasciandola un lusso per pochi eletti. I luoghi
dovrebbero diventare le nuove aule, dove il piacere di ascoltare
un’aria di Verdi o Blue Moon è lo stesso che godersi un assolo di
chitarra elettrica o una sonata di Chopin. Locali e teatri
ripartiranno, certamente, per dare lavoro, e per nutrirci l’anima,
deperita da tanti mesi di silenzio.