sabato 10 aprile 2021

TEMPI BUI E SILENZIOSI

 

TEMPI BUI E SILENZIOSI

Nazareno Fusta

Ci piaceva frequentare un locale dove, qualche sera al mese, si esibivano dei musicisti locali. Erano semplici appassionati o veri e propri professionisti, alcuni bravi e altri meno. Presentavano repertori che spaziavano tra generi diversi, rivisitati e interpretati a loro gusto, con timbri e sfumature sempre nuovi. L’ambiente, con il tempo, è diventato intimo e allo stesso tempo aperto a frequentatori casuali, dove i soliti habitué erano disposti a percorrere molta strada e i più accaniti a resistere fino alla chiusura. 
È da più di un anno che le serate sono annullate, lasciando più vuote le nostre scoperte musicali. È una mancanza comune, un divertimento che manca e che non si può rimpiazzare. Per tutti i fruitori di musica, di qualsiasi genere, non è un gran bel momento.
I locali e i teatri sono alcuni tra i grandi assenti di questi mesi. 

Le rappresentazioni e gli eventi erano momenti di comunità, momenti vivi in cui si avvertiva uno scambio meraviglioso tra musica e pubblico. 

L’esperienza della musica dal vivo è incredibile perché è sempre diversa, ogni volta si rinnova. Cogliere un particolare emozionante, destreggiarsi in una via del suono che non conoscevamo, ammirare una sola nota che distrugge un’armonia per costruirne una seconda, soffermarsi sul timbro di uno strumento, cogliere le facce tese degli strumentisti impegnati in un virtuosismo, stupirsi dell’estensione di una voce... la musica dal vivo la fanno sia i musicisti che gli ascoltatori. In un concerto riuscito, in cui l’interazione fra le due parti è forte, può capitare di assistere a battiti di mani: si chiudevano gli occhi e gli  applausi erano meritati. Altre volte il vociare sovrastava la musica, segno che le chiacchiere meritavano di essere ascoltate più della canzone. 

L’ultimo concerto a cui ho assistito è stato a Menton, quest’estate, dove il festival di musica ha potuto riprendere.

In Italia? Un grande evento ha deciso di non fermarsi, anzi, deciso più che mai di proseguire come se nulla fosse, ha posto delle condizioni per la ripartenza. 

Due mesi fa si accese, sulle pagine dei giornali una discussione: il festival di Sanremo, tempio della canzone italiana, meritava o no di avere il pubblico, seppur in un momento di pandemia e con tuti i teatri chiusi da mesi? Lascio a voi lettori il giudizio. E tralasciando gli scambi di vedute, in un Festival dove per porgere i fiori si è ideato un avveniristico carrello, lo Stato Sociale ha portato alla luce un disagio che non forse tutti avvertono. In un tragico (perché tragico è) monologo, hanno elencato teatri e locali di musica che non riapriranno quando si potrà. Chiusi perché non sono stati aiutati a sufficienza. E sono in tutta Italia, da Nord a Sud, nelle grandi città o nelle province, quelli costretti a tenere le saracinesca abbassata.
Alcatraz, Milano: aperto nel 1997 chiuso a febbraio 2020, non sappiamo quando riaprirà. Teatro dellangelo, Roma: aperto nel 94, chiuso per sempre. Cinema Iris, Messina: non sappiamo quando riaprirà. Negli anni 90 un musicista apre il Cage a Livorno perché, dice, le città senza i club sono più brutte e vuote: non sappiamo quando riaprirà. Il cinema Mandrioli in provincia di Bologna continua a proiettare film durante il lockdown, a porte chiuse, perché non manchino nella città le voci dei personaggi: non sappiamo quando riaprirà. Hiroshima, Torino: non sappiamo. Teatro Massimo, Palermo. Cinema Adriano. Sherwood festival, Miami, Balla coi cinghiali: sospesi. Primo maggio: senza pubblico. Teatro Salone Margherita: chiuso definitivamente. Festival di Sanremo 2021: 26 cantanti, solo tra loro oltre 50.000 concerti, oltre mille live club, oltre 10.000 persone che non lavorano più da un anno. Ma non sarà per sempre. Credeteci, i nostri fiori non sono ancora rovinati.



Ho trovato giusto che i pesci grandi, i concorrenti di Sanremo, abbiano cercato di aiutare i pesci piccoli in un momento di fragilità. E non solo loro si sono esposti alle critiche e all’opinione pubblica: anche il paladino dell’opera italiana nell’universo, Riccardo Muti, in una infuocata lettera diretta all’ex premier premeva per la riapertura dei teatri.
Un estratto: “ Le chiedo, sicuro di interpretare il pensiero non solo degli Artisti ma anche di gran parte del pubblico, di ridare vita alle attività teatrali e musicali per quel bisogno di cibo spirituale senza il quale la società si abbrutisce.”
C’è stata una risposta, sapete quale? Hanno distrutto la cultura in un sol colpo, chapeau.
Sempre Riccardo Muti, in una recente rappresentazione del “Così fan tutte” di Mozart, al Regio di Torino, ha portato sul palco il problema, e ora sta dirigendo alcuni teatri di Italia, presentando un repertorio molto interessante, e molto italiano.
Ma tutti i personaggi musicali e gli attori teatrali si sono attivati, per cercare una soluzione compatibile con la situazione di emergenza. È tempo di ideare un nuovo tipo di cultura, che si avvicini a più gente possibile, non lasciandola un lusso per pochi eletti. I luoghi dovrebbero diventare le nuove aule, dove il piacere di ascoltare un’aria di Verdi o Blue Moon è lo stesso che godersi un assolo di chitarra elettrica o una sonata di Chopin. Locali e teatri ripartiranno, certamente, per dare lavoro, e per nutrirci l’anima, deperita da tanti mesi di silenzio.