Nonostante ciò, il 4 aprile 2025 è stato convertito in Decreto Legge (DL).
Innanzitutto, definiamo la differenza tra DDL e DL.
Il DDL è una legge che può essere proposta da ogni membro delle Camere, dal Governo, da almeno cinquantamila elettori, da un Consiglio Regionale o dal Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL). Per essere approvata subisce un lungo processo di dibattito e di modifiche in Parlamento, e soltanto dopo che ha ottenuto la maggioranza dei voti diventa legge esecutiva.
Il DL è invece una normativa “temporanea” proposta dal Governo in situazioni di emergenza e, proprio in facoltà di ciò, non deve essere approvata dal Parlamento, ma solo dal Consiglio dei Ministri (l’iter burocratico, in questo modo, è più veloce). Entra subito in vigore, ma, se il Parlamento non la conferma entro 60 giorni, essa decade. Nei primi anni di pandemia il Decreto Legge è stato spesso utilizzato per rispondere alla tragica emergenza sanitaria che si stava verificando in tutto il mondo.
Nel settembre 2024, il DDL Sicurezza era stato approvato alla Camera ma, in seguito, era rimasto bloccato per mesi in Senato a causa di diverse perplessità da parte dei Senatori. Inoltre, lo stesso Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica, aveva chiesto di modificare alcuni articoli all’interno del Disegno, causando scontri nella maggioranza. La proposta aveva poi causato allarmismo non solo in Italia: l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), la Commissione europea per i Diritti Umani, Amnesty International (un’organizzazione non governativa internazionale impegnata nella difesa delle libertà fondamentali) avevano espresso la loro opposizione, definendo il Disegno “contro i diritti umani”.
Per sbloccare la situazione, il Governo Meloni ha deciso di scrivere un DL che ricalcasse il DDL, facendolo approvare nell’aprile 2025. Questo decreto riguarda la tutela delle forze dell’ordine, le proteste nelle carceri, le manifestazioni di dissenso e altro ancora. Esso è composto da 38 articoli, con alcune modifiche che erano state richieste dal Quirinale: ad esempio non è stato presentato un articolo che obbligava le pubbliche amministrazioni e le università ad accettare eventuali richieste di collaborazione da parte dei servizi segreti.
Alcuni degli articoli si dedicano al contrasto del terrorismo: in particolare, sono previsti dai 2 ai 6 anni di detenzione per il possesso di materiale che potrebbe essere collegato ad azioni di sabotaggio, difesa o conflitto. Tuttavia, la definizione di “materiale idoneo alla violenza con finalità di terrorismo” è molto vaga: anche chi possiede un documento, un testo, un manuale per scopi accademici, per attivismo pacifico o solo per essere informato, rischia di finire in carcere.
Il DL attacca poi il diritto alle manifestazioni in diversi modi: diventa illecito il blocco stradale (la pena è la reclusione fino a un mese e multa di 300 euro se realizzato da un singolo, e reclusione da sei mesi a due anni se commesso da più persone). Ciò significa che se durante le manifestazioni, anche pacifiche, si interrompono i trasporti pubblici, tutti i manifestanti rischiano il carcere.
Inoltre, si introduce un’aggravante in caso di violenza, minaccia o semplice resistenza a un pubblico ufficiale. Aggravante che aumenta della sua metà se l’atto è compiuto durante una manifestazione contro la realizzazione di infrastrutture. Questa norma è la “anti no-Ponte e no-Tav”, che va a colpire i manifestanti che esprimono la loro opposizione nei confronti della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina o della Tav (Treno ad Alta Velocità, che collega Lione e Torino).
La limitazione al dissenso non esclude le carceri: il DL introduce il nuovo “reato di rivolta penitenziaria” che punisce chi protesta contro le condizioni gravissime degli istituti penitenziari italiani. Aumenterà infatti la pena nel caso in cui almeno tre persone causino rivolte, commettano atti di violenza, minacce, tentativi di evasione, o nel caso in cui oppongano resistenza, anche se passiva. Inoltre, la detenzione si aggraverà per chi istiga alla disobbedienza, sia se il fatto è commesso da un detenuto sia se chi lo commette proviene dall’esterno dell’istituto.
Sempre per quanto riguarda le carceri, viene cancellato il rinvio della pena per le donne incinte o per le madri con un figlio che ha meno di un anno di età. La decisione diventa facoltativa, anzi, in casi di particolare pericolo, il rinvio non è contemplato.
Nel Decreto viene dedicato spazio anche ai migranti: per vendere le Sim a chi non fa parte dell’Unione Europea è sufficiente mostrare un documento d’identità valido (nel DDL, l’articolo originale prevedeva che si mostrasse un permesso di soggiorno). Tuttavia, per i venditori che non seguono la legge, la pena è la cessazione dell’attività dai 5 ai 30 giorni.
Si interviene persino sulla revoca della Cittadinanza: nel caso in cui uno straniero, divenuto cittadino italiano soltanto in età adulta, compia un grave reato, la Cittadinanza può essergli revocata dai 3 ai 10 anni. In questo modo quello che dovrebbe essere un diritto diventa un merito, un privilegio escludente e selettivo. Inoltre, nei CPR (Centri Per l’Immigrazione, dedicati ai migranti irregolari), viene applicato un reato molto simile a quello “di rivolta penitenziaria”.
Il DL si dedica infine alla tutela degli agenti delle forze dell’ordine: per chi è indagato per fatti legati al servizio svolto sul lavoro, lo Stato sosterrà le spese legali fino a 10.000 Euro per ogni fase del processo. In più, gli agenti potranno portare le armi private anche fuori servizio, indifferentemente se dotati di licenza o meno.
Questo DL, insomma, al posto di risolvere il problema del sovraffollamento e delle condizioni inumane delle carceri, aumenta gli anni di detenzione. Ugualmente, pone ai margini della società categorie di persone già discriminate in Italia.
L’unica sicurezza, in questo Decreto, è quella che il Governo Meloni assicura per se stesso, eliminando le manifestazioni di dissenso con reati penali e conferendo più potere alle forze dell’ordine.